Il governo stima di ricavare 51,6 milioni di euro da questa nuova versione della tassa, mentre l’Unione europea continua a cercare un accordo su una digital tax continentale che uniformi le regole in tutti i paesi membri. La misura fa parte di un pacchetto più ampio che include anche l’aumento dal 26% al 42% della tassazione sulle plusvalenze delle criptovalute (con un gettito previsto di 16,7 milioni) e un tetto alle detrazioni fiscali che coinvolge anche gli investimenti in startup. Quest’ultima misura, secondo le stime, potrebbe generare circa 90 milioni di euro di gettito aggiuntivo. In totale, il pacchetto dovrebbe portare nelle casse dello Stato circa 150 milioni di euro, su una manovra complessiva di 30 miliardi.
L’impatto su startup e Pmi
Il presidente di Netcomm, il consorzio che rappresenta oltre 480 aziende del digitale italiano, Roberto Liscia, lancia l’allarme: “Questa misura rappresenta un colpo di grazia sia per le imprese che operano nel settore dei servizi digitali, sia per quelle che usufruiscono di questi servizi, specialmente quelle più piccole o che sono nelle fasi iniziali della loro crescita”.
Il settore più colpito, infatti, potrebbe essere quello delle piccole e medie imprese, che rappresentano oltre il 90% del tessuto imprenditoriale italiano. La nuova tassazione sui ricavi lordi, anziché sui profitti, rischia di innescare quello che Netcomm definisce un “effetto cascata” lungo tutta la catena del valore digitale. Le aziende che forniscono servizi digitali, dalla pubblicità online all’hosting di dati, potrebbero essere costrette ad aumentare i prezzi per compensare i nuovi costi fiscali. Questo aumento si rifletterebbe su tutte le imprese che utilizzano questi servizi, compromettendo la loro competitività sia sul mercato interno che internazionale.
Secondo l’Agenzia delle entrate la pubblicità online in Italia è passata da 3 miliardi nel 2018 a 5,9 miliardi nel 2022, con l’85% attribuibile alle grandi piattaforme. La composizione dei servizi digitali vede il 62% dedicato alla pubblicità e il 38% all’intermediazione. Il presidente di Netcomm propone una soluzione alternativa: “Invitiamo il governo a rivedere l’ambito di applicazione della legge limitando l’imposta alle imprese digitali con profitti elevati. Sarebbe bene adottare una fiscalità ‘channel neutral’, ossia una tassazione che non penalizzi il canale digitale rispetto a quello fisico”.
Fa eco a Liscia la Fieg, la Federazione italiana editori di giornali: “Gli editori della Fieg esprimono stupore e amarezza per la norma del disegno di legge di bilancio che estende l’imposta sui servizi digitali a tutte le imprese che realizzano ricavi derivanti da servizi digitali rimuovendo le attuali soglie che escludono dall’imposta le imprese con meno di 750 milioni di fatturato globale e con ricavi derivanti da servizi digitali in Italia inferiori a 5,5 milioni”. Nella nota si legge anche: “Con l’estensione della platea dei contribuenti l’epilogo della web-tax è paradossale: si colpiscono tutte le imprese digitali italiane, sottoponendole ad una duplice tassazione e accentuando così la disparità di trattamento e lo svantaggio competitivo nei confronti dei colossi globali del web. Gli editori della Fieg auspicano un intervento correttivo del Parlamento che eviti la beffa di una nuova tassazione sulle imprese italiane del settore, le stesse imprese che si intendeva tutelare e salvaguardare”.
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