- Il carico fiscale pesa maggiormente sui contribuenti che dichiarano redditi per almeno 35mila euro, cioè il 15% del totale: sono loro a versare il 63% delle tasse complessive.
- Nel nostro Paese una piccola parte di contribuenti si fa carico del finanziamento dei servizi pubblici, mentre la maggior parte degli italiani vive alle spese della collettività.
- La forte redistribuzione delle risorse per coloro che possiedono un reddito sopra i 35mila euro provoca gravi rischi e squilibri per i conti pubblici.
In Italia i contribuenti che dichiarano almeno 35mila euro sono circa 6,4 milioni, ma nonostante questo pagano la maggior parte delle imposte. Di contro, coloro che dichiarano meno di 15mila euro sono circa 17 milioni e pagano l’1,29% dell’IRPEF complessiva.
Nonostante il periodo successivo al Covid abbia fatto registrare un aumento dei redditi dichiarati dai contribuenti nel 2023 (relativi all’anno di imposta 2022), sono ancora i “ricchi” che pagano la fetta maggiore dell’IRPEF e si fanno carico delle spese previdenziali e assistenziali anche per gli italiani che versano poche tasse (o non ne versano affatto).
L’analisi della spesa pubblica effettuata da Itinerari Previdenziali1 prende come riferimento gli ultimi database disponibili sul portale del Ministero dell’Economia e delle Finanze, ovvero le dichiarazioni del 2023 sui redditi conseguiti nel 2022 e distingue le diverse tipologie di contribuenti (lavoratori dipendenti, autonomi, pensionati e altri dichiaranti) per scaglioni di reddito e per regione.
Fisco italiano: il 15% dei contribuenti paga il 63% delle tasse
La fotografia scattata dall’ultimo Osservatorio sulla spesa pubblica e sulle entrate 2024 di Itinerari Previdenziali è quella di un Paese povero nel quale la minoranza dei cittadini si fa carico della fetta maggiore di tasse per il finanziamento del welfare. Da quanto emerge analizzando le ultime dichiarazioni dei redditi degli italiani (presentate nel 2023), infatti, il 15% dei contribuenti con redditi dai 35mila euro in su paga il 63% delle tasse.
Ma andiamo con ordine. Il totale dei redditi prodotti e dichiarati ai fini IRPEF nel 2022 ammontava a 970 miliardi di euro, ma la distribuzione delle risorse e il pagamento delle tasse non erano affatto omogenei.
Ciò non significa che l’Italia sia un Paese soppresso dalle tasse poiché, come ha spiegato il presidente di Itinerari previdenziali Alberto Brambilla, i contribuenti su cui grava il maggiore carico fiscale e il finanziamento del welfare rappresentano circa il 20% di coloro che dichiarano redditi dai 29mila euro in su.
Al contrario, c’è una grandissima parte degli italiani che paga così poche tasse (o che addirittura le evade) da risultare totalmente a carico della collettività.
Quanti e quali italiani pagano le tasse
Dall’analisi di Itinerari Previdenziali si conferma un importante squilibrio geografico, oltre che economico, nel versamento delle tasse nel confronto tra il 2022 e il 2021. In particolare, il Nord contribuisce per il 57,2% del totale, il Centro con il 21,8%, mentre il Sud con il 20,97% del gettito complessivo.
Passando all’analisi delle dichiarazioni dei redditi degli italiani, coloro che hanno dichiarato redditi superiori ai 55mila euro e fino a 100mila euro (cioè il 5,45% dei contribuenti) sono gli stessi fedelissimi al Fisco che potrebbero ricevere l’ennesima batosta con l’introduzione di un nuovo taglio alle detrazioni fiscali.
Sono però anche coloro che si fanno carico del finanziamento del welfare e dell’assistenza pubblica pagando la fetta maggiore di tasse (41,69% dell’IRPEF) anche per coloro che non detengono redditi.
Includendo chi dichiara redditi tra i 35mila e i 55 mila euro, risulta che il 15,26% dei contribuenti italiani paga il 63,39% dell’imposta sui redditi delle persone fisiche.
Lavoratori dipendenti e lavoratori autonomi a confronto
Passando a un’analisi delle tipologie di contribuenti in relazione al versamento delle tasse, notiamo come più della metà degli italiani appartenga alla categoria dei lavoratori dipendenti e dichiari mediamente tra i 15mila e i 29mila euro all’anno. Questi lavoratori si fanno carico del 24,24% del totale delle imposte, percentuale insufficiente per pagarsi da soli la sanità.
Non va meglio per i lavoratori autonomi (in cui sono inclusi imprenditori, partite IVA e società di persone): solo coloro che dichiarano redditi superiori a 20mila euro sarebbero in grado di pagarsi la sanità in autonomia.
Anche in questo caso, notiamo una forte concentrazione del pagamento delle imposte: poco più della metà dei contribuenti autonomi (il 55,48%) paga circa il 96,72% dell’IRPEF dell’intera categoria. E la stessa concentrazione possiamo ritrovarla anche tra i pensionati.
Stando ai dati, infine, quasi 1 italiano su 2 (il 45% circa) non dichiara alcun reddito: di conseguenza contribuisce in misure minore al finanziamento delle spese pubbliche e vive quindi alle spalle del resto della comunità.
Aumento della spesa pubblica negli ultimi 10 anni
Da quanto emerge, l’Italia è un paese con una forte redistribuzione delle risorse a carico dei redditi sopra i 35mila euro che però, molto spesso, non beneficiano nemmeno dei bonus e degli sgravi fiscali previsti dal Governo. La tenuta dei conti pubblici, in una situazione come questa, è decisamente a rischio.
Secondo i dati presentati alla Camera, l’Italia nel 2022 ha investito quasi un terzo del PIL complessivo nel welfare e nella previdenza sociale, con un aumento della spesa pubblica del +29,4% rispetto al 2012. A farsi carico di queste spese, però, è stata solo una piccola parte di contribuenti che ha versato la fetta maggiore di tasse.
Non solo: dal report emerge anche come la metà della spesa pubblica nazionale venga utilizzata per protezione sociale, quindi per il pagamento di pensioni, sanità e assistenza. Mentre per INPS e INAIL si può parlare di equilibrio; per sostenere le spese per assistenza, sanità e welfare degli enti pubblici è necessario attingere alla fiscalità generale.
Con le nuove misure in partenza nei prossimi anni, in particolare con il concordato preventivo biennale per le partite IVA, il Governo spera di recuperare almeno una parte del gettito fiscale mancante per sostenere le spese pubbliche.
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