L’assenza del presidente della multinazionale John Elkann in Parlamento acuisce gli attriti con la politica e il governo, che con la manovra vuole tagliare i fondi per l’industria delle quattroruote. Sullo sfondo il passaggio ai veicoli elettrici, per i quali si chiedono incentivi pubblici per sostenere i maggiori costi. Preoccupati i sindacati. Intanto l’Ue conferma il rincaro delle tasse all’importazione per le macchine prodotte in Cina
I parlamentari rinnovano l’invito a John Elkann di venire a riferire sulla situazione dell’Auto in Italia. Il presidente di Stellantis era atteso alla Camera dei Deputati per parlare delle difficoltà che sta attraversando questo settore ma non si è presentato perché – ha scritto in una lettera – non c’era nulla da aggiungere a quanto detto dall’amministratore delegato della casa italo-francese Carlo Tavares l’11 ottobre davanti ai deputati. Parole che si possono riassumere così: servono incentivi per sostenere il passaggio alle macchine elettriche, che costano il 40 per cento in più di quelle a benzina e diesel.
Stellantis ha chiesto più incentivi
Il manager, dunque, aveva chiesto soldi pubblici per dare una spinta alle vendite (fiacche) dei veicoli a batteria. Dal governo nel frattempo, però, sembra essere arrivata una risposta che va nella direzione opposta, visto che con la manovra verranno tagliati i finanziamenti previsti: 4,55 miliardi in meno nei prossimi sei anni, che comportano una riduzione dell’80 per cento dei fondi all’industria delle quattroruote.
Il governo taglia gli aiuti alla settore automobilistico
Si tratta dei finanziamenti decisi nel 2022 dal governo Draghi: in totale 8,7 miliardi fino al 2030, dei quali una parte già arrivati a destinazione negli anni passati. Ne sarebbero rimasti in cassa 5,8 ma con la sforbiciata prevista con il disegno di legge di Bilancio ne rimarrebbero 1,2 (cioé: 200 milioni l’anno contro il miliardo promesso in precedenza).
Tensioni iniziate mesi fa
Quanto voluto da Palazzo Chigi con la manovra (che ancora deve essere approvata) non contribuisce a distendere i rapporti con la multinazionale, che tiene le redini – tra gli altri – della Fiat, e alla quale l’Esecutivo da mesi chiede di aumentare la produzione negli stabilimenti italiani.
L’auto elettrica: transizione difficile
Al centro del dibattito c’è la transizione dai motori tradizionali (termici) a quelli elettrici. Le auto meno inquinanti rappresentano il futuro, dato che – secondo le regole europee – dal 2035 si potranno produrre solo quelle meno inquinanti. Il governo ha proposto all’Europa di ammorbidire i vincoli comunitari. E su questo tema Tavares è stato chiaro: non serve un allungamento dei tempi della transizione ma stabilità e certezza su quanto già deciso.
Sindacati preoccupati: sciopero contro la manovra
Insomma, il clima è denso di tensioni e incertezze. E i sindacati sono sempre più preoccupati per le possibili ricadute sui lavoratori. “Il taglio dei fondi all’Auto è una cosa che grida vendetta”, ha detto senza giri di parole il leader della Cgil Maurizio Landini: “Fare questo oggi non è uno sgarbo a Stellantis bensì un pugno in faccia a un settore fondamentale del nostro Paese”. La Cgil, insieme all’Uil, è pronta allo sciopero generale il 29 novembre, perché la manovra è “del tutto inadeguata a risolvere i problemi del Paese” e per rivendicare l’aumento del potere d’acquisto di salari e pensioni, il finanziamento di sanità, istruzione, servizi pubblici e politiche industriali.
Più dazi sulle auto elettriche cinesi
Intanto Bruxelles, che non sembra intenzionata a diluire la transizione, ha confermato in via definitiva i nuovi dazi sulle auto elettriche sfornate in Cina. Rincari sulle tasse all’importazione che colpiranno anche case europee e americane che producono in Estremo Oriente e che arrivano fino al 45% (a seconda del marchio), con la conseguenza che queste macchine probabilmente costeranno di più nel Vecchio Continente ai consumatori. La decisione è stata presa perché Pechino sovvenziona con soldi pubblici le vetture a batteria, violando – secondo i canoni europei – le regole sulla concorrenza.
Bruxelles cerca un compromesso con Pechino
L’Unione, comunque, continua in negoziati con le autorità cinesi per evitare una guerra commerciale, anche perché la decisione sui dazi è stata sofferta. Alcuni Paesi, fra i quali Italia e Francia, hanno votato a favore del rincaro delle tariffe; altri, come la Spagna, si sono astenuti. Ci sono poi stati i contrari, con in testa la Germania, dove i maggiori produttori hanno investito molto in Cina e alla prese in patria con una crisi che sta portando Volkswagen alla chiusura di alcune fabbriche.
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