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Concordato preventivo biennale: un regalo a chi ricicla denaro #finsubito prestito immediato


Non è un condono. Il concordato preventivo biennale non può essere iscritto nella categoria delle sanatorie fiscali per il semplice fatto che non concorda il passato ma, bensì, il futuro. Non chiude, quindi, i conti con ciò che è stato fatto ma li chiude su quello che si andrà a fare. Lo fa sulla base di un meccanismo per il quale contribuente e fisco si mettono d’accordo sul reddito da dichiarare nell’anno 2024 e nel 2025. Così facendo lo Stato sa già quale incasso aspettarsi nel biennio mentre il contribuente avrà il vantaggio, nel caso in cui il reddito effettivo sia più alto, di non dover pagare nulla sulla differenza. Di contro c’è che, al contrario, se il reddito è più basso di quello concordato si arrangia: pagherà le tasse comunque su quest’ultimo. Nella filosofia di fondo è indubbio che ricorda molto la “minimum tax” che il Governo Amato nel 1992 provò a introdurre, con scarsi risultati, nel nostro Paese. Ironia della storia e delle eterne difficoltà che ha il nostro malandato paese a far pagare le tasse agli evasori.

Come funziona il concordato preventivo biennale

Lo strumento è senz’altro discutibile sul piano etico, visto che, per come è congeniato, fa strame del principio costituzionale della capacità contributiva. Sul piano pratico il giudizio può essere più accomodante, perché cerca di rispondere, seppur parzialmente, alla sostanziale incapacità dello Stato di riscuotere le tasse, certificata dai dati statistici: in un anno gli accertamenti analitici, basati sullo spulcio meticoloso dei libri contabili, oscillano tra il 3 e il 5 percento delle partite IVA. In più, di questi già scarsi accertamenti, se va bene lo Stato ne incassa effettivamente la metà. L’altra metà finisce in riscossioni coattive che non vanno a finire da nessuna parte, perché rivolti a soggetti per i quali si sa già in partenza che non pagheranno mai niente, visto che sono nei fatti impossidenti. Ragione per cui chi governa la cosa pubblica, ha il dovere di farlo senz’altro guardando ai principi, ma anche alla sostanza delle cose. Primum vivere deinde philosophari, pare dicesse Thomas Hobbes: non è conveniente ostinarsi a cercare l’evasore se con questo si può fare un accordo preventivo. Non pagherà il dovuto, ma neanche il niente che le statistiche annuali impietosamente ci mettono davanti.

Sulla base di questo ragionamento, si sospetta di buon senso, si può affermare che il concordato preventivo biennale puzzerà pure di ingiustizia, però nei fatti ha il piccolo pregio di dare una idea certa delle entrate fiscali per il 2024 e per il 2025. Solo che lo strumento non funziona.

Per come viene calcolato il reddito da concordare non è appetibile per la gran parte degli evasori in nuce. Nel proporre il reddito, infatti, viene utilizzato un algoritmo realizzato dall’Agenzia delle Entrate che si basa sull’attività svolta e su alcuni parametri di quest’ultima (prezzi di vendita, persone impiegate, eccetera). Il valore di reddito che viene proposto è all’incirca uguale al reddito che il contribuente ha avuto nel corso del 2023. A questo punto l’appetibilità della proposta si misura nella differenza che c’è fra quello che è il reddito da concordare e quello effettivamente maggiore che il contribuente ritiene di conseguire negli anni 2024 e 2025. In una economia in rallentamento, e in alcuni settori in recessione, quanti potranno avere legittimamente questa aspettativa? Molto pochi.

Per capire quanto reale sia quest’ultima affermazione, usiamo l’esempio di un ingegnere edile, che negli anni 2021, 2022 e 2023, grazie al Superbonus, qualche soddisfazione economica se l’è tolta. L’algoritmo gli propone lo stesso reddito del 2023, il quale tiene conto di incassi molto alti avuti grazie ai bonus edilizi. Non c’è bisogno di essere dei veggenti per capire che l’ingegnere quel reddito nel 2024 e, men che meno, nel 2025 lo raggiungerà mai, visto la fine di tutti gli incentivi nel settore in cui opera. In più è perfettamente consapevole che ha una probabilità del 5% di essere oggetto di un accertamento. Il concordato non lo sottoscriverà di sicuro. C’è però qualcuno a cui conviene.

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A chi conviene il concordato preventivo

In prima battuta a chi ha avuto un reddito molto basso nel 2023 o addirittura una perdita e, al contempo, ha una forte aspettativa di aumentarlo nel corso del biennio successivo. In tal senso c’è un caso empirico molto curioso che riguarda il settore immobiliare, soprattutto le imprese che nel 2024 e nel 2025 metteranno in vendita gli immobili che hanno iniziato a costruire negli anni precedenti. Il 2023, per molte di queste, è stato un anno di transizione, dedicato a completare le costruzioni iniziate. Il reddito è inesistente, visto che non ci sono ricavi e solo costi. L’algoritmo, sulla base di questa condizione, propone un reddito per il biennio di poche decine di migliaia di euro. Tuttavia le vendite che si andranno a realizzare nel 2024 e nel 2025, frutteranno qualche centinaia di migliaia di euro di utile. La differenza fra le poche decine di migliaia di euro concordate e l’utile effettivo sarà totalmente esentasse. Le imprese immobiliari correranno a sottoscrivere il concordato.

Conviene molto anche a chi ha del denaro da riciclare, che non sono solo i malavitosi. Ci sono moltissime attività normali che negli anni passati hanno incassato proventi in nero, nascondendo il denaro in casa in attesa di trovare modi facili per spenderlo. Si può dire che grazie al concordato ora questo modo l’hanno trovato in accordo, seppur inconsapevolmente, con il Fisco! Ciò accade così: il suddetto contribuente concorda con il Fisco un reddito da dichiarare che, per quanto prima detto, sarà all’incirca uguale a quello dell’anno 2023. Anno in cui, poniamo, ha avuto molti incassi in nero. Per far rientrare quest’ultimi nel circuito legale sarà sufficiente che nel biennio concordato questa attività emetta scontrini, in assenza di vendite effettive, pari all’importo del nero che vuole ripulire. Il tutto senza pagare alcuna tassa, visto che andrà ad alimentare un extra reddito rispetto a quello concordato. Finché si comporta così la piccola partita IVA, possiamo liquidare la cosa come un peccato veniale. Quando, però, lo stesso meccanismo lo impiega il malavitoso che ricicla il denaro dello spaccio e del pizzo, attraverso insospettabili locali pubblici privi di clientela ma dagli incassi importanti, si rimane un po’ interdetti. Si dirà che se questo viene scoperto poi le norme prevedono una decadenza dal concordato.

Certamente è così, ma i dati statistici ancora una volta sono impietosi nell’illustrare l’effettiva probabilità di essere scoperti. Qualcuno verrà preso, ma la stragrande maggioranza si metterà in tasca proventi illeciti senza pagare alcuna tassa.



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