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Il traffico di droga dall’Ecuador e l’altro «affare» del capo della banda toscana: un b&b a Firenze a due passi dal Duomo #finsubito finanziamenti e gestione bed & breakfast


diAntonella Mollica e Valentina Marotta

L’indagine di Finanza e Procura antimafia sul traffico internazionale di droga: 30 misure cautelari. Coinvolti albanesi, italiani e una ‘ndrina. Albert Turja e il fratello coordinavano gli uomini incaricati di recuperare gli stupefacenti che dall’Ecuador arrivavano al porto di Livorno

I carichi di cocaina venivano acquistati in Colombia, arrivavano in Italia via mare dall’Ecuador, nascosta tra casse di banane o altra frutta esotica. Al porto di Livorno, nodo cruciale del narcotraffico, intervenivano le «squadre» di recupero, soprattutto albanesi ma anche rumeni e italiani. Italiani che, secondo l’accusa, erano i referenti della ‘ndrina Molè, cosca calabrese della piana di Gioia Tauro specializzata nel traffico di droga.

A gestire le squadre di intervento al porto di Livorno era un albanese di 44 anni, Albert Turja, residente a Santa Croce sull’Arno ma con interessi anche a Firenze dove è proprietario di un bed and breakfast in via Martelli, a due passi dal Duomo, che gestisce con la moglie.  




















































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L’operazione antidroga

Albert Turja è una delle persone arrestate nel corso del blitz che ha smantellato l’organizzazione, scoperta dalla Guardia di Finanza di Pisa coordinata dalla Procura antimafia di Firenze. Al termine di indagini partite nel 2021, si è arrivati, mercoledì  7 anovembre, a 30 misure cautelari eseguite tra Toscana, Calabria, Lazio, Puglia, Campania e Lombardia: 23 in carcere, 6 ai domiciliari, un obbligo di firma.

L’inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto di Firenze Luca Tescaroli — da pochi mesi passato alla guida della Procura di Prato — è di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti con l’aggravante della transnazionalità. Secondo l’accusa per gestire il traffico di droga che doveva essere importata in Italia, si erano alleati esponenti di ‘ndrangheta, camorra e una banda albanese che aveva ramificazioni in Belgio, Albania, Francia e Germania, oltre alla Colombia e all’Ecuador.

Il bed & breakfast

«Il nostro bed & breakfast — si legge nel sito della struttura di via Martelli — nasce dalle personalità di Albert Turja e sua moglie, i quali spinti dal loro amore per la città di Firenze, hanno deciso di creare un ambiente in cui, chi viene da fuori, possa assaporare e godere a tutto tondo dell’atmosfera fiorentina». 

Ma secondo le indagini della Guardia di Finanza, il vero lavoro di Albert, finito in carcere insieme a suo fratello Roland, 38 anni, non era quello di imprenditore del settore ricettivo ma, appunto, di trafficante di droga.

Era lui l’organizzatore della «succursale» Toscana della banda, quello che attraverso un criptofonino manteneva i contatti telefonici con i broker in Ecuador, quelli che finanziavano l’acquisto della droga direttamente in Colombia, e soprattutto era lui, secondo quanto emerso dalle indagini della procura antimafia, a gestire il momento più delicato dell’importazione della droga, quello dell’«uscita» dal porto e che decreta il successo o il fallimento dell’operazione dato che in pochi minuti i narcotrafficanti possono vedere sfumare milioni di euro. 

Dalle intercettazioni è emerso che i fratelli Turja avessero dei complici all’interno del porto di Livorno che potevano controllare dove era posizionato il contenitore che a loro interessava ma non sono stati ancora individuati.

La squadra di «recupero»

La tecnica utilizzata dalla squadra era sempre la stessa: sopralluoghi, appostamenti con il binocolo in attesa dell’arrivo della nave che trasporta il container con la droga, a volte anche con l’espediente di una canna da pesca per fingersi pescatore sulla scogliera alla foce dello Scolmatore in modo da non attirare troppo l’attenzione.

Una volta individuato il contenitore la squadra ha il compito di piazzare il gps con una scheda intestata a un prestanome per seguirne i movimenti e intervenire nel momento in cui il container viene svuotato del carico legale e messo quindi in una zona a bassa vigilanza. Lì, durante la notte, si può smontare il contenitore, estrarre la droga e soprattutto rimettere tutto a posto per evitare che qualcuno noti le pareti divelte e chiami le forze dell’ordine come già accaduto in qualche occasione. Per trasferire la droga venivano poi usate delle auto con il doppiofondo, alcune fatte arrivare direttamente dall’Albania.

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La squadra di recupero veniva munita dall’organizzazione di tutti gli attrezzi da lavoro: trapano, cesoie, tronchese, piede di porco, i borsoni per contenere la droga e anche le corde e le imbragature nel caso in cui la droga fosse stata posizionata troppo in alto nel container. 

Quando la situazione era molto complicata il gruppo riusciva a fare arrivare anche dall’Albania una squadra specializzata, veri e propri «professionisti free lance» che venivano pagati in stupefacente, in genere il 30 per cento del valore della cocaina che avrebbero recuperato. 

Era sempre Albert Turja a provvedere alla logistica: lui trovava il posto dove farli stare fino alla notte e il giorno prima li portava con la barca a fare i sopralluoghi indicando dove parcheggiare l’auto per evitare che la polizia che passa ogni ora possa insospettirsi e da quale punto entrare al porto per evitare i sistemi di videosorveglianza. 

7 novembre 2024 ( modifica il 7 novembre 2024 | 13:31)

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