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Nuovo Giornale Nazionale – VINCE TRUMP, CAMBIERA’ QUALCOSA? #finsubito prestito immediato


Trump è il 47^ presidente degli Stati Uniti, il più anziano della storia (78 anni) e il primo alla Casa Bianca con una condanna penale sul capo. 

Si passa dai Democratici ai Repubblicani, ma  questo con cambiera’ la politica americana, sia interna che estera.

Il primo può dividersi, scannarsi, insultarsi, il secondo invece cerca la stabilità e la continuità. 

E alla fine sarà il potere economico a richiamare all’ordine chiunque sieda nello Studio Ovale

Tra i governi Obama e Trump ci furono degli “aggiustamenti”, più che altro voluti e temperati dal Parlamento controllato dai repubblicani, sull’Obamacare e sulla politica estera (Iran e Cuba), ma tra i governi Trump e Biden c’è stata continuità. 

 

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L’Iran è rimasto “nemico”, le sanzioni alla Cina in vigore, l’embargo contro Cuba pure, la politica sull’immigrazione praticamente la stessa. 

La grande differenza dell’amministrazione Biden rispetto a quella Trump sono stati gli investimenti miliardari per rilanciare l’industria made in Usa e consolidare la supremazia nel mondo dell’high-tech e del settore bellico. 

 

I dossier caldi riguardano il finanziamento della Nato e la guerra russo-ucraina in atto; i flussi migratori dal Centro America negli Usa; la stabilizzazione del Medio Oriente; la vicenda di Taiwan e il ruolo della Cina quale potenza economica di riferimento per mezzo mondo. 

Su questi dossier conosciamo le soluzioni “facili” proposte da Trump, ma non sarà affatto facile realizzarle

 

Gli Stati Uniti non sono riusciti a fermare il conflitto in Ucraina, non riescono a tenere al guinzaglio Israele, restano sempre debole nei confronti della Cina (per non parlare della Corea del Nord), non sanno cosa proporre ai paesi centroamericani per tentare di fermare i flussi migratori. 

 

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Certo, l’economia a stelle a strisce va bene, ma questo non basta a un presidente statunitense, il cui ruolo di primus inter pares dell’Occidente lo  obbliga a essere giudicato per la politica interna, ma forse di più per il ruolo di garante della stabilità internazionale.

 

I primi commenti degli esperti di politica americana ci inducono a riflettere sul fatto  che quello USA è uno stato-macchina ben oleata che continuerà con le sue politiche, anche in Ucraina e in Israele. Anche per quanto riguarda la Nato: ormai in Europa ci stiamo adeguando a ciò che ci è stato chiesto, ossia l’investimento del 2% del Pil. Abbiamo capito che dobbiamo cavarcela da soli.

 

Per quanto poi il problema dei migranti, 

buttarli fuori tutti vorrebbe  dire non avere nessuno che lavora. 

Trump non riuscirà a cambiare granché le cose, non riuscirà a mandare indietro i migranti, che lavorano nelle fabbriche e tagliano le cosce di pollo, fanno i lavori di cui gli americani non vogliono nemmeno più sentir parlare, ad un salario irrisorio, minimo. 

 

Sempre all’interno va notato che l’inflazione è alle stelle e morde, un caffè costa cinque dollari, e dodici uova sono passate da un dollaro a tre dollari a mezzo. E questo è un grande problema. 

Già nei primi 100 giorni si vedrà come Trump con il fedele alleato Musk, affronteranno queste questioni. 

 

Risalita dell’inflazione e politica monetaria della Federal Reserve sono due dei principali rischi avvertiti da analisti e operatori di fronte al Trump 2.0, cioè il ritorno dell’imprenditore alla Casa Bianca. 

 

I mercati al momento stanno comunque reagendo positivamente a cominciare dal cosiddetto “Trump trade”, cioè gli asset ritenuti beneficiari della vittoria repubblicana come dollaro, criptovalute e oro. Le politiche annunciate dal tycoon in campagna elettorale – tariffe all’import su molti beni, riduzione delle tasse, nuovo giro di vite sull’immigrazione e deregulation su oil&gas – dovrebbero spingere l’inflazione e la crescita economica degli Usa nei prossimi due anni.

 

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Ma alcuni la pensano diversamente.

I dazi e i tagli fiscali proposti da Trump potrebbero invece  far aumentare l’inflazione, spingendo la Federal Reserve a intervenire. 

Trump ha inoltre manifestato l’intenzione di influenzare le decisioni della Fed, in potenziale contrasto con l’autonomia della banca centrale.

 

Durante il primo mandato di Trump, i rendimenti statunitensi sono aumentati tra il 2016 e il 2018, soprattutto a causa del rafforzamento dell’economia e del ciclo di inasprimento della Fed. 

 

Con il  secondo mandato, i mercati potrebbero subire nuove pressioni al rialzo sui rendimenti e sul dollaro, a causa della fiducia nei titoli azionari statunitensi e nella crescita economica, ma anche per il potenziale impatto inflazionistico del suo programma. In particolare, è probabile che i titoli small cap e i titoli finanziari ne beneficino, seguendo le tendenze osservate dopo la vittoria del 2016.

 

 

Storicamente, il mercato ha registrato una forte performance sia nelle elezioni del 2016 che in quelle del 2020, con guadagni nei settori tecnologico e finanziario. La vittoria di Trump potrebbe dare ulteriore slancio ai titoli ciclici (finanziari, energetici, ecc.), con un potenziale guadagno anche per i settori della tecnologia, della difesa e delle case automobilistiche tradizionali.

 

Mentre la volatilità dei mercati è stata elevata durante la prima vittoria di Trump, la sua riconferma potrebbe ridurre l’elemento sorpresa, determinando una potenziale maggiore stabilità dei mercati finanziari. 

 

Si tenga presente che la Fed e il ciclo degli utili contano più delle elezioni stesse per i mercati. I settori da tenere d’occhio sono le energie rinnovabili, l’adozione di veicoli elettrici, i servizi sanitari, la difesa, ecc.

Staremo a vedere. 

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