Diffamazione generica e velata: è reato insinuare in modo sottile senza fare nomi e cognomi?
Insultare una persona con un post su un social, facendo il suo nome e cognome, anche se il profilo è privato, costituisce reato. Ma si può parlare ugualmente di diffamazione se l’insulto sui social avviene senza indicare la vittima? In caso di offese velate si può essere denunciati? Sul punto è più volte intervenuta la Cassazione. Proprio di recente la Suprema Corte ha chiarito quando un post offensivo sui social, pur non nominando la vittima, possa configurare il reato di diffamazione (sent. n. 40746/2024). L’individuazione del soggetto offeso deve essere certa e non basata su mere congetture.
Cerchiamo di comprendere la linea di confine tra ciò che è lecito e ciò che non lo è.
Cos’è la diffamazione?
La diffamazione è il reato (previsto dall’articolo 595 del Codice penale) che si verifica quando qualcuno, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione. In pratica, si lede la considerazione che gli altri hanno di una persona, danneggiandone l’immagine sociale e professionale.
Nel caso di diffamazione online, come nel caso di un post offensivo, di un commento a un altrui post o di una recensione falsa e dispregiativa, la diffamazione diventa aggravata: la pena è quindi più pesante della diffamazione “ordinaria”.
I social network sono considerati “mezzi di pubblicità” ai fini della diffamazione. Ciò significa che un post offensivo pubblicato su Facebook, Instagram, Twitter o altri social può integrare il reato di diffamazione aggravata, punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
È necessario nominare la vittima per commettere diffamazione?
Non è necessario nominare espressamente la vittima per commettere diffamazione. Anche un post che non fa nomi, ma che contiene riferimenti o allusioni che permettono di identificare la persona offesa, può essere diffamatorio.
La Cassazione, nella sentenza 40746/2024, ha stabilito che un post offensivo sui social, pur non nominando la persona lesa, è diffamatorio se include elementi che permettono di individuare la vittima con “affidabile certezza”.
L’identificazione della parte offesa deve basarsi su elementi oggettivi, desumibili dal testo del post e dal contesto in cui è inserito.
Non sono sufficienti intuizioni, supposizioni o interpretazioni soggettive per ritenere che un post sia rivolto a una determinata persona.
Quali elementi possono rendere identificabile la vittima?
Alcuni elementi che possono rendere identificabile la vittima di un post offensivo sui social, anche senza menzionarla, sono:
- riferimenti a fatti o circostanze specifiche: se il testo cita eventi o situazioni che riguardano una determinata persona (ad esempio un concorso pubblico che la vittima ha vinto), questa può essere facilmente identificata, anche se non viene nominata;
- descrizione fisica o caratteriale: se il messaggio contiene una descrizione fisica o caratteriale tale da rendere la persona offesa facilmente riconoscibile, si può parlare di reato;
- contesto in cui il post è inserito (ad esempio, un gruppo Facebook dedicato a un determinato argomento o una discussione online).
La vicenda
Vediamo cosa è successo nel caso specifico della sentenza 40746/2024 della Cassazione. I giudici hanno assolto una donna che aveva pubblicato un post offensivo su Facebook, facendo riferimento a un “noto personaggio che in paese critica tutti“. La Corte ha ritenuto che questa indicazione fosse troppo generica per identificare con certezza la persona offesa.
Precedenti della Cassazione sulla diffamazione velata senza fare nomi
In altre sentenze (ad es. sent. n. 22285/2023), la Cassazione ha ribadito che la diffamazione online è configurabile anche senza nomi espliciti, purché la vittima possa essere identificata con “ragionevole certezza” attraverso gli elementi del post e del contesto (quali le circostanze narrate, oggettive e soggettive, i riferimenti personali, temporali e simili), desumibili anche da fonti informative di pubblico dominio al momento della diffusione della notizia offensiva.
L’offesa alla reputazione deve essere “deducibile” dal contenuto del post in modo oggettivo e non basato su mere congetture.
In particolare, per integrare l’illecito, l’offesa alla reputazione, presuppone l’attitudine della comunicazione a rendere individuabile il diffamato sulla base di elementi che, sebbene non univoci, siano oggettivamente tali da far convergere il fatto offensivo su un determinato soggetto.
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La legge sul diritto d’autore art. 70 consente l’utilizzazione libera del materiale laddove ricorrano determinate condizioni: la citazione o riproduzione di brani o parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi qualora siano effettuati per uso di critica, discussione, insegnamento o ricerca scientifica entro i limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera citata o riprodotta.
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