Gli italiani, che culturalmente si presentano come degli eccezionali risparmiatori, non temono il paradosso della parsimonia…
Nonostante il peso dell’inflazione non del tutto superata, un italiano sul due riesce a risparmiare. Spende insomma quel che deve per affitto, mutuo, bollette, consumi, ma a fine mese si trova qualcosina in tasca, che poi mette in banca o alla Posta. E dopo? Dopo basta, di solito. Soltanto in pochi tra coloro che riescono a risparmiare decidono di investire. Due italiani su tre, pur trovandosi con qualche soldo in più in tasca, preferiscono star fermi: meglio conservare e avere a disposizione un po’ di liquidità .
Questi numeri sono stati rivelati dal rapporto Acri-IPSOS. E mettono in evidenza che per gli italiani il risparmio è ancora l’obiettivo principale dal punto di vista finanziario. Non una sorpresa: storicamente, l’atteggiamento al risparmio degli italiani è sempre stato incoraggiato pure dalla politica. Solo ultimamente sta cambiando qualcosina. Lo dimostra, per esempio, il successo del collocamento dei BTP destinati al pubblico. Ma è di certo poco. Mancano di base tanto l’ottimismo quanto l’interesse nei confronti degli investimenti. E allo Stato, a quanto pare, va bene così…
Molti anni fa però il famoso economista britannico John Maynard Keynes mise tutti in guardia del paradosso della parsimonia. Si tratta di un tema importante, forse di una delle tesi più ficcanti e significative dell’economia keynesiana. Il paradosso funziona così: se tutti cercano di risparmiare di più durante un periodo difficile, la riduzione della spesa complessiva può peggiorare la crisi che si sta già attraversando, portando a una diminuzione del reddito complessivo e, ironicamente, a una riduzione della stessa capacità di risparmiare del singolo contribuente.
In base a tale argomentazione, i fautori dell’economia keynesiana credono che la risposta più adeguata a una qualsiasi crisi economica sia investire di più, quindi prendersi più rischi per crescere e far crescere. Lasciar perdere i risparmi e buttarsi, credere o almeno sperare. L’idea è che la spesa, cioè il consumo, sia il vero motore dell’economia. E bisogna quindi stimolare il consumo per crescere e superare ogni stallo. In questo senso, i risparmi personali sono interpretati come un freno netto per l’economia durante e dopo una crisi.
Il paradosso della parsimonia: un problema culturale per l’Italia
Con l’ultima legge di Bilancio, il Governo ha deciso di tagliare bonus vari, incentivi fiscali e agevolazioni. Meglio risparmiare, ha suggerito la premier, per non sprecare soldi per misure che lo Stato non è in grado di controllare perfettamente. Ma così facendo l’Italia subirà una frenata sui consumi, nei servizi, sui lavori, sugli investimenti, sulla ricerca e in tante altre spese fondamentali a livello economico e sociale.
Quando le persone decidono di risparmiare di più e spendere meno, si verifica una riduzione della domanda aggregata per beni e servizi. E tutto questo, secondo il paradosso della parsimonia, porta a un rallentamento dell’economia: le imprese assistono a una diminuzione delle vendite e, di conseguenza, devono ridurre la produzione e il personale.
Attenzione: guai a demonizzare il risparmio personale! Quando tutto intorno è così precario, è fondamentale poter sfruttare una rete di sicurezza finanziaria, specie per le famiglie. Ma, a oggi, la tendenza al risparmio degli italiani e del Governo ha solo un effetto frenante sull’economia, sia a breve termine che a lungo termine. Il tasso di crescita del PIL è allo 0,9% per il 2024, con un leggero aumento a 1,1% nel 2025. L’inflazione è prevista a 1,6% per quest’anno e aumenterà fino all’1,9% nel 2025. Ma la produzione è già in crisi. E i dati sul lavoro non sono così confortanti, malgrado ciò che ha rivelato il Governo.
Mettere da parte i soldi per il futuro significa rinunciare alla crescita economica. Il Governo dovrebbe appunto intervenire per mitigare gli effetti negativi del paradosso della parsimonia attraverso politiche fiscali ad hoc e, soprattutto, aumentando la spesa pubblica, La politica dovrebbe insomma stimolare e invece continua a frenare o a tagliare.
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