Il sistema elettrico in Italia è atteso da importanti cambiamenti. Nel 2023 si sono registrato consumi per 305 TWh (ma ne sono attesi per 350,1 TWh nel 2030, secondo il PNIEC) una produzione nazionale attestata su 265 TWh e con una quota di rinnovabili poco superiore a un terzo (34,5%).
Le comunità energetiche rinnovabili hanno fatto la loro “timida” comparsa: sono 168 le iniziative attive, tra CER e iniziative di autoconsumo collettivo, così come sono state mappate nell’ambito dell’Electricity Market Report, dell’Energy&Strategy, giunto alla quinta edizione. Malgrado la significativa crescita (+89%) rispetto al 2023, “il loro impatto sul sistema è ancora limitato”.
La transizione energetica, se si vanno a guardare gli obiettivi fissati nel Piano Nazionale integrato Energia e Clima, è ancora un miraggio: per raggiungere gli oltre 130 GW di capacità installata di FER entro il 2030, sarà necessario un incremento del 96,5% rispetto ai valori di dicembre 2023. Detto in altri termini: bisognerà fare, da qui ai prossimi 6 anni, quello che si è fatto negli scorsi decenni…
Fotovoltaico ed eolico sono chiamati a uno sforzo titanico: dovranno crescere dai 42,6 GW del 2023 fino ai 107,4 GW previsti dallo scenario di policy del PNIEC.
C’è poi lo storage, il cui obiettivo, fissato a 71,5 GWh di capacità entro il 2030 negli scenari Snam-Terna, «appare irrealistico visto l’attuale installato elettrochimico, pari a circa 6,6 GWh», scrivono gli analisti Energy&Strategy. Tuttavia, meccanismi incentivanti come il MACSE e il Capacity Market potrebbero contribuire al raggiungimento degli obiettivi prefissati.
Sistema elettrico in Italia: l’avvento delle CER
Partiamo dalle comunità energetiche, che si sono cominciate ad affacciare nel contesto di trasformazione del sistema elettrico d’Italia. Detto del loro impatto ancora limitato, si caratterizzano per lo più con impianti di piccola taglia: gli impianti sotto i 30 kW costituiscono il 26% del totale e, considerando tutti gli impianti sotto i 100 kW si raggiunge il 61%; quelli oltre i 200 kW sono il 34% del totale.
Nella larga maggioranza dei casi, le CER sono realtà che hanno una forma societaria piuttosto semplice: nella metà delle iniziative si tratta di associazioni. L’ente pubblico, nel 58% dei casi, è il promotore delle comunità energetiche, nel 21% dei casi le iniziative sono state promosse da soggetti specializzati. Questi ultimi, sotto forma di ESCo, utility e imprese del settore energetico, compaiono nel 79% dei casi come soggetti esterni specializzati a supportare il promotore, investendo negli impianti e/o supportando le attività di aggregazione.
L’elemento chiave per lo sviluppo delle CER è la sostenibilità. Come sottolinea il report, tale sostenibilità è legata alla capacità delle stesse comunità energetiche di “condividere” energia,
«con valori che cambiano radicalmente quando si passa a percentuali di energia condivisa superiori al 70%. È un fattore chiave nella fase di progettazione e disegno della CER, «che tuttavia richiede anche la capacità di ingaggiare non soltanto il numero, ma anche la tipologia di partecipanti corretta».
C’è poi da considerare i numeri in gioco per quanto riguarda i ritorni, piuttosto limitati, nell’ordine di qualche decina o centinaia di migliaia di euro lungo la vita dell’iniziativa. Sono numeri che vanno letti come aggiuntivi rispetto alla realizzazione di un impianto, che avrebbe comunque la possibilità di esistere in modalità stand alone e che per una parte comunque della sua produzione opera in autoconsumo.
Si aggiunga alla considerazione anche quanto emerso da un sondaggio fatto da E&S sulle aspettative riguardo ai ritorni economici, messo in evidenza da Davide Chiaroni, vicedirettore di Energy&Strategy: «l’80% del campione si attende ritorni annui superiori ai 100 euro, addirittura il 26% attende più di 500 euro. Tuttavia, dai risultati delle simulazioni effettuate, i benefici realmente ottenibili risultano sensibilmente inferiori a tale cifra».
Il sistema elettrico che verrà
Nei prossimi anni si assisterà a un percorso davvero impegnativo per raggiungere gli obiettivi posti nel PNIEC. Si dovrà passare da una domanda di energia elettrica di 305,6 TWh a 350,1 TWh, contando su una quota percentuale di fonti rinnovabili sui consumi finali lordi di elettricità che dovrà quasi raddoppiare rispetto alla quota attuale: dal 34,5% del 2023 si dovrà passare al 63,4%, con una capacità di generazione da FER che da 66,8 GW dovrà raggiungere i 131,3 GW.
Si prevede una crescita rilevante degli accumuli:
«Anche se il piano nazionale non offre indicazioni precise sull’evoluzione attesa nella capacità di storage del Paese, abbiamo fatto il tesoro degli Scenari di Terna e Snam, che hanno fornito una previsione della capacità installata degli accumuli a 2030. Se scorporiamo dal numero globale i pompaggi, concentrandoci sui componenti di accumulo elettrochimici, dovremmo arrivare a 50 GWh e 14 GWh di capacità rispettivamente per sistemi di storage distribuiti e centralizzati in aggiunta ai 7,5 GWh di accumuli utility-scale», ha affermato Vittorio Chiesa, direttore di Energy&Strategy, rilevando che quello degli accumuli è un tema centrale perché c’è da colmare un gap estremamente rilevante.
Si aggiunga che gli accumuli elettrochimici nel 2023 hanno raggiunto i 6,6 GWh. Pensare di raggiungere i 71,5 GWh nel 2030 è assai improbabile.
Flessibilità, si fa spazio quella locale
Altra frontiera riguarda il tema della flessibilità, costituita dai servizi di dispacciamento e dal contributo che potrà portare alla gestione della variabilità della produzione della domanda di energia.
«Veniamo da una fase di chiusura dell’attività relativa alla cosiddetta flessibilità globale, sulla scala delle reti di trasmissione, e ci troviamo all’avvio di quella che è la frontiera della cosiddetta flessibilità locale che invece riguarda questo tipo di servizio a livello delle reti di distribuzione – ha illustrato Chiesa –. Quindi la flessibilità globale si è basata essenzialmente sulla gestione dei progetti pilota e delle UVAM».
Con la Delibera 352/2021 sono stati istituiti i progetti pilota che consentono ai distributori di sperimentare l’approvvigionamento di servizi di flessibilità locali. RomeFlex, EDGE, e MindFlex sono i pilota approvati da ARERA. Come specifica il report, gli operatori hanno saturato l’80% dei contingenti disponibili nelle aste finora effettuate. Emerge una generale positività circa l’andamento del pilota, per esempio in termini di interesse e partecipazione da parte degli operatori a un progetto introdotto di recente. Inoltre, il settore residenziale mostra interesse verso i pilota: il 18% dei 1000 rispondenti al sondaggio stanno valutando di parteciparvi.
Le prospettive del MACSE
Un tema toccato dal report e che avrà ripercussioni sul sistema elettrico in Italia riguarda il MACSE, il meccanismo di approvvigionamento della capacità di stoccaggio, il cui obiettivo è rendere più attraenti gli investimenti nei sistemi di accumulo.
«Abbiamo visto i numeri al 2030, estremamente ambiziosi, se comparati con lo stato attuale di sviluppo e di diffusione di questi sistemi. È ben nota la centralità e il ruolo degli accumuli nell’assetto energetico attuale. Dall’altra parte i ricavi necessari per giustificare l’investimento, spesso ingente, in accumulo, sono ancora tutti da identificare, quindi c’è una grande incertezza per chi investe rispetto alle prospettive dei ricavi che può conseguire», ha rilevato il direttore Energy&Strategy.
Il MACSE si basa sull’organizzazione di aste competitive (suddivise in “brevi”, ovvero 15 anni, e “lunghe”, a 30 anni) nelle quali gli assegnatari si impegnano a realizzare e rendere disponibile la capacità di accumulo in cambio di un premio annuale fisso. La disciplina è quindi strutturata per minimizzare il costo per il sistema e pertanto prevede che la principale forma di remunerazione per gli assegnatari dei contratti sia rappresentata dal corrispettivo fisso e non dall’attività sul mercato dei servizi, che viene scoraggiata attraverso gli obblighi di disponibilità e di restituzione.
Il meccanismo è aperto a qualsiasi tecnologia di stoccaggio che rispetti i requisiti tecnici minimi previsti, tuttavia esistono delle tecnologie di riferimento, che attualmente sono le batterie agli ioni di litio e i pompaggi idroelettrici.
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