SIENA. In due serre verticali, grandi come frigoriferi e iper tecnologiche, stanno crescendo le viti del futuro. Capaci di resistere a stagioni sempre più calde, di fare frutti anche con meno acqua, di produrre uve che poi diventeranno grandi vini, dal Brunello al Chianti ai Supertuscan.
La vite aeroponica per ora è un piccolo prototipo studiato negli spazi del Santa Chiara Lab, il polo dell’innovazione dell’Università di Siena, nato in un vecchio convento di clausura. E il progetto fa parte del rosario di idee e innovazioni finanziate con 350 milioni del Pnrr destinate all’Agritech, all’evoluzione tecnologica dell’agricoltura e dell’alimentazione. Una fetta dei fondi, 40 milioni, finanziano lo spoke 9, nel quale rientra la ricerca senese. Per il professor Angelo Riccaboni, presidente del Santa Chiara Lab, «le risorse del Pnrr sono destinate a finanziare produzioni agricole più sostenibili e attente alle nuove esigenze dei consumatori. L’altro obiettivo è arrivare a una tracciabilità sempre più esatta dei prodotti, per capirne in modo istantaneo e accurato la provenienza geografica».
Il capitolo dello spoke 9, lo studio della vite capace di superare lo stress idrico, è racchiuso in quelle serre scrupolosamente monitorate dal biologo Giampiero Cai e dai suoi ricercatori. «La resistenza alla mancanza d’acqua – ribadisce Riccaboni – è una priorità per il futuro. Al Santa Chiara stiamo facendo crescere dei porta innesti, la parte bassa della vite, simulando tutte le stagioni e le alte temperature, e sottoponendoli a stress idrici. Il secondo passo sarà portare il porta innesti in suolo, con il vitigno che si preferisce, dal Sangiovese al Cabernet. Il terzo passo sarà impiantare questa vite resistente nelle aziende, a partire da quelle del Siena Food Lab, da Villa Banfi a San Felice o Felsina, per citare alcune delle più importanti tra Brunello e Chianti».
Accanto alle viti, l’agricoltura di precisione testata nel Santa Chiara Lab, passa anche per coltivazioni, dal pomodoro al basilico, che crescono con la minore quantità d’acqua possibile. In tutti i progetti ci sono partnership importanti: sulle viti c’è l’Università di Milano, sull’agricoltura di precisione ci sono Enea e altri atenei. Dal campo alla cucina con il Kitchen Lab, guidato dalla professoressa Patrizia Marti, dove si creano alimenti per il futuro, plant based, cibo sostenibile fatto di vegetali che abbia consistenza, nutrimento e appeal per i consumatori. Da qui la pasta creata da stampanti 3D con gli scarti dei pomodori coltivati nelle serre accanto. O i dolci con forme accattivanti, con ingredienti a basso impatto ambientale e diversi tipi di latte, dalla soia alla mandorla. «Così – chiosa il professor Riccaboni – è come mangiare dati utili alla salute, assieme al tiramisù».
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