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José Barroso al G7 Sviluppo di Pescara: «Non tagliate sulle vaccinazioni, il futuro dell’Europa passa dall’Africa» #finsubito prestito immediato – richiedi informazioni –


di
Alessandra Muglia

Intervista all’ex presidente della Commissione Ue che dal 2021 guida il Cda di Gavi: «I nostri aiuti allo sviluppo non creano dipendenze: ora anche  i Paesi africani contribuiscono. Puntiamo a reclutare nuovi donatori,  dalla Cina ai Paesi del Golfo» 

«Per favore non tagliate sulle vaccinazioni,  con questo appello sono venuto qui  al G7 Sviluppo, dal mio amico Antonio Tajani che, come sapete, è stato commissario Ue quando io ero presidente della Commissione…». Accenna un sorriso José Barroso, mentre ci anticipa su Zoom il cuore del suo intervento di oggi al summit dei ministri degli Esteri e della Cooperazione dell’Unione in corso a Pescara. «Il futuro dell’Europa passa dall’Africa» dice in questa prima intervista rilasciata in Italia da quando nel 2021 è diventato presidente del consiglio di amministrazione di Gavi, partnership pubblico-privata impegnata a promuovere la salute favorendo l’accesso ai vaccini nei Paesi svantaggiati. Un’organizzazione che ha giocato un ruolo di primo piano – anche sui media – durante il Covid e che sta ridefinendo ora le sue strategie: oltre alle «tradizionali» donazioni dirette, l’Alleanza utilizza meccanismi di finanziamento innovativi che contribuiscono a garantire la sostenibilità delle sue attività, come l’Amc (Advance Market Commitment) e l’IFFIm, il Fondo finanziario internazionale per l’immunizzazione, e  ora punta sul co-finanziamento e sul trasferimento di competenze in Africa per la produzione di vaccini. La pandemia ha dato una lezione. Ma anche prodotto uno stallo delle vaccinazioni pediatriche nel mondo: le coperture risultano sotto quelle pre-Covid, con 2,7 milioni di bimbi in più non vaccinati o sotto vaccinati rispetto al 2019. La sfida è recuperare terreno:  «Puntiamo a immunizzare 500 milioni di bambini in più entro il 2030, per raggiungere questo traguardo, ai donatori chiedo di contribuire con almeno 9 miliardi di dollari in nuovi finanziamenti nel prossimo quinquennio».

State puntando a raccogliere un miliardo e mezzo in più rispetto all’attuale quinquennio. I vostri donatori sono per lo più i governi. Non temete che di questi tempi le loro priorità siano altre?
«Sì c’è questo rischio, questo pericolo. Dalla lotta al cambiamento climatico al sostegno all’Ucraina e ai rifugiati, le emergenze sono tante. I nostri governi sono sottoposti a forti pressioni fiscali in Europa, anche nel G7. Quindi il problema esiste. E il punto che sto sottolineando con loro è proprio questo: che non dovrebbero, per via di quelle “priorità concorrenti” disinvestire in Gavi. Proprio in virtù dei risultati ottenuti: secondo studi indipendenti, abbiamo già salvato 18 milioni di vite, quindi evitato 18 milioni di morti. In poco più di vent’anni siamo riusciti a raggiungere con le vaccinazioni 1,1 miliardi di bambini. E così siamo stati in grado di ridurre del 70% le morti prevenibili. Certo, in molti dei nostri paesi, il bilancio complessivo per lo sviluppo è sotto forte pressione. Ma credo che da questa pressione, l’immunizzazione possa essere relativamente protetta.  Le faccio un esempio: il Regno Unito è stato tradizionalmente uno dei maggiori finanziatori di Gavi e qualche anno fa ha deciso di ridurre gli aiuti allo sviluppo. Tuttavia da Londra mi hanno detto che stanno facendo del loro meglio per cercare almeno di mantenere lo stesso tipo di impegno con Gavi. Ma la risposta onesta alla sua domanda è sì, c’è il pericolo che i contributi a Gavi si riducano, ma il valore di Gavi è così chiaro che crediamo che non saremo colpiti come altre aree di sviluppo».




















































 Cosa state facendo per compensare eventuali perdite? 
«Stiamo cercando di avere nuovi donatori, per esempio la Corea del Sud o la Cina. Sono stato in Cina di recente a parlare di questo con il primo ministro, non hanno ancora preso un impegno definitivo ma lo stanno valutando. I Paesi del Golfo finora non sono stati donatori importanti, ma le cose potrebbero cambiare». 

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Finora i donatori più importanti per Gavi sono i Paesi del G7.  Che percentuale di contributi proviene normalmente da loro? 
Oscilla tra il 70  e l’80 per cento, contando anche il contributo bilaterale dei paesi europei. Ma vogliamo allargarlo ad altri. Questo è il punto.  C’è qualcosa di più importante al mondo che salvare la vita dei nostri figli? Penso che possiamo convincere i governi a non ridurre, e anche, in alcuni casi, ad aumentare il loro contributo». 

Questo anche in vista di nuove pandemie. 
«Ci aspettiamo che arrivino altre pandemie. Il cambiamento climatico sta già avendo un impatto,  renderà le malattie infettive più frequenti,  dalla malaria alla dengue.  Promuovere la salute nelle aree svantaggiate non è solo una questione etica, di aiutare chi è nel bisogno, ma è anche nel nostro interesse. Come abbiamo visto durante il Covid, il virus non ha bisogno del visto,  non si ferma alle frontiere. Ed è per questo che ad esempio, stiamo investendo in scorte per l’Ebola, per il Mpox (l’ex “vaiolo delle scimmie”, ndr). Siamo riusciti a rispondere all’HPV (il papilloma virus) e al Mpox in soli 33 giorni: un dato notevole rispetto al passato.  Stiamo aumentando gli investimenti nelle scorte. Così quando arriva una pandemia, siamo pronti anche noi a intervenire il prima possibile». 

Lei ha definito cruciale il ruolo che il settore privato può svolgere per raggiungere l’obiettivo di vaccinare 500 milioni di bambini in più entro il 2030. Perché? 
«In sostanza, quello che facciamo è stipulare contratti con le più importanti aziende farmaceutiche del mondo, in modo che possano fornirci i loro vaccini al prezzo più basso possibile, in modo che possiamo distribuire a coloro che ne hanno bisogno, vale a dire i paesi più vulnerabili, soprattutto in Africa. In questi anni abbiamo aumentato il numero dei fornitori da 5 a 19. Di questi, più della metà proviene da Paesi a basso o medio reddito, in primis dall’India. Ma abbiamo altre modalità di cooperazione con il settore privato. Il “Gavi Matching Fund” è un meccanismo di finanziamento pubblico-privato concepito per incentivare gli investimenti del settore privato nell’immunizzazione: è stato in grado di raccogliere dal 2011 ben 500 milioni di dollari da oltre 35 fondazioni e partner aziendali, dalla banca spagnola La Caixa a Mastercard, da Orange a UPS, Unilever e molti altri».

Oltre alla fornitura di vaccini, ora state puntando molto sui co-finanziamenti. Lo scorso agosto i Paesi africani hanno superato la soglia dei 100 milioni di dollari versati. Un risultato importante.  
«Sì è molto importante passare dalla semplice fornitura di vaccini a un modello di cofinanziamento non solo da un punto di vista economico, ma ma anche dal punto di vista dello sviluppo.  Da giovane sono stato ministro degli Esteri,  ho visitato 35 paesi africani. Una delle critiche che a volte fanno alla politica degli aiuti allo sviluppo è che creano dipendenze. Gavi stia dimostrando che questo non è vero. Al contrario, vediamo paesi che si stanno progressivamente emancipando: se prima ricevevano gratuitamente tutti i loro vaccini, ora ci sono 39 Paesi che hanno iniziato a contribuire. E 3 su 4  di loro ha già adempiuto in tutto o in parte ai propri obblighi di cofinanziamento nel 2024.  Ci sono poi Paesi come  l’Indonesia che da “beneficiario” dovrebbe diventare “donatore” nel prossimo quinquennio,  la fase 6. Il Sudafrica, invece, è già partner dell’IFFIM, ci ha messo dei soldi».

Un’altra lezione emersa dal Covid è che i paesi africani non possono contare sul fatto che i paesi più ricchi condividano equamente i vaccini. Così è nato il vostro «African Vaccine Manufacturing Accelerator» , l’Avma, un altro acronimo.

«L’idea è sostenere la produzione di vaccini in Africa perché l’Africa è il maggior destinatario di vaccini al mondo. Da lì partono molte malattie contagiose ma solo l’1% dei vaccini viene prodotto in Africa.  Abbiamo già stanziato  1 miliardo di dollari per aiutare i Paesi africani a sviluppare capacità produttive nel continente. Alcune di queste strutture sono già in costruzione. E, a condizione che ottengano l’approvazione, potremo acquistare vaccini anche da loro». 

Dove si trovano queste prime aziende africane di vaccini? 
In Egitto,  Rwanda, e  Ghana. Ma un vaccino non è solo un prodotto. Un vaccino è un processo. A volte puoi avere un ottimo vaccino, clinicamente, la formula è perfetta, ma non puoi produrlo su larga scala. In tal caso, non possiamo acquistarlo.  Abbiamo bisogno di autorità di regolamentazione indipendenti, rigorose, che dicono, sì, questo può essere acquistato, va bene per il mercato, va bene per i pazienti. L’Africa è indietro rispetto alle altre parti del mondo su questo fronte». 

Quando l’Africa potrà essere pronta a produrre il proprio vaccino? 
«Non lo so. So che il Ruanda è a buon punto. A proposito, ho parlato qualche tempo fa con i ragazzi tedeschi che lo supportano. Ci sono anche i fondi dell’Unione Europea e della Germania per questo, con BioNTech. E sono molto contenti dei progressi. Stanno formando le persone a livello locale». 

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Leggevo che il vostro obiettivo è avere il 40% dei vaccini prodotti in Africa entro il 2040. E il 60% entro il 2040. 
«Questo è quello che chiamo un obiettivo aspirazionale, non operativo. È bello avere obiettivi ambiziosi. Penso che sia possibile, ma onestamente, ci sono molte cose da fare». 

Quale è l’ostacolo principale per la produzione di vaccini in Africa? 
«È una questione di trasferimento di tecnologia, di formazione delle persone: non solo di chi produce i vaccini, ma anche delle autorità di regolamentazione. Non ce ne sono di rigorose, soltanto di recente alcune autorità di regolamentazione locali sono state riconosciute dall’Oms». 

Vent’anni fa, nel 2005, lei chiese ai leader Ue di portare gli aiuti allo sviluppo allo 0,7% del Pil europeo entro il 2015. Non ci siamo ancora. 
«Avevo sollecitato questo prima della crisi finanziaria del 2008 che ha portato a tagli del budget devastanti. Poi il Covid  è stato un campanello d’allarme molto potente, ha provocato una certa crescita negli aiuti, ma recentemente si è fermata,  ci sono molte altre priorità in competizione tra loro adesso, dalle guerre al clima». 

Da presidente della Commissione Ue aveva auspicato che l’Europa uniformasse la sua politica migratoria: è accaduto oltre 10 anni dopo con il Patto per la migrazione e l’asilo: come valuta questa riforma delle regole d’accoglienza? Cosa pensa dell’esternalizzazione delle frontiere modello Albania? 
«Guardi, oggi parlo come presidente del consiglio di amministrazione di Gavi, non da politico. So che c’è un dibattito adesso in Italia e in altri paesi su questo argomento. Quello che posso dire come cittadino europeo, è che credo sia importante che si abbia una politica comune a livello Ue.  Significa condividere anche le responsabilità. E’ ovvio che se vogliamo mantenere un’Europa senza frontiere interne, dobbiamo avere confini esterni chiari. Se non abbiamo frontiere esterne definite, allora avremo problemi non solo di migrazione illegale, ma di criminalità, di terrorismo, e pure problemi con partiti estremisti, populisti e ultranazionalisti, contrari all’Unione europea. Il mio unico appello è che i governi europei cerchino di raggiungere un approccio comune, ovviamente tenendo conto delle diverse condizioni dei singoli Paesi».

Come valuta  l’iniziativa Italia-Africa portata avanti dalla premier Meloni?
«Mi rallegro del fatto che l’Italia non solo sia stata una grande sostenitrice di Gavi, e spero che continui così in futuro, ma stia anche dando una chiara priorità all’Africa. Come stiamo facendo anche noi di Gavi: la maggior parte della nostra azione è in Africa. L’Italia è stata finora una grande sostenitrice di Gavi, dal 2006 è uno dei membri più forti:  è un membro fondatore del fondo Iffim per l’immunizzazione, è il quarto maggior contribuente a livello mondiale. E’ il terzo maggiore donatore dell’acceleratore africano per la produzione di vaccini. Adesso chiediamo all’Italia di aumentare del 20% il suo contributo quinquennale e arrivare ai 300 milioni di dollari. Siamo anche molto grati anche per il supporto politico che l’Italia sta fornendo a Gavi durante la presidenza del G7. Del resto i nostri obiettivi sono in linea con alcune delle priorità del governo italiano, a iniziare dal piano Mattei».

24 ottobre 2024 ( modifica il 24 ottobre 2024 | 12:00)

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