Donald Trump vuole spingere l’industria dell’auto a stelle e strisce con nuove agevolazioni di stampo protezionistico che rischiano di danneggiare i partner commerciali degli Usa, dalla Corea del Sud al Giappone fino alla Ue. Dopo l’Ira di Biden l’Ira di Trump?
Dopo Joe Biden anche Donald Trump, laddove fosse eletto, intende favorire l’industria statunitense con misure tutt’altro che liberali destinate a creare non pochi mal di pancia ai partner commerciali degli Usa. Del resto l’industria americana è soprattutto industria dell’auto. E nell’ultimo periodo a Detroit e dintorni la situazione si è fatta tutt’altro che rosea, come dimostrano le frizioni – per usare un eufemismo – tra il principale sindacato del settore, l’Uaw, e Stellantis che ha nel portafogli un bel pezzo della produzione a stelle e strisce: Chrysler, Dodge e Ram Trucks.
Insomma, era solo questione di tempo prima che il mondo dell’auto irrompesse anche nella corsa elettorale. O che la campagna elettorale irrompesse nel mondo dell’auto. Il candidato repubblicano Donald Trump ha fatto promesse di peso: agevolazioni fiscali solo alle auto americane.
L’IRA DI TRUMP CONTRO LE AUTO ESTERE
Non è dato sapere cosa intenda l’ex inquilino della Casa Bianca, ma prendendo alla lettera ciò che ha annunciato di voler fare (“Perché diavolo dovremmo dare loro le nostre tasse – le parole esatte di Trump in riferimento a eventuali agevolazioni fiscali a pioggia – se producono l’auto in Cina, Giappone o in molti altri posti che ci hanno rubato i nostri affari nel corso degli anni? Penso che sarà fantastico per Detroit”) il tycoon parrebbe andare persino andare oltre i contorni dell’Inflation Reduction Act voluto dal predecessore democratico, Joe Biden, che si limitava a punire le aziende – indipendentemente dalla nazionalità – che non avessero impiantato la propria filiera negli Usa (dunque, la normativa letta al rovescio poteva scatenarsi anche contro marchi americani che producono in Messico).
IL PROTEZIONISMO AMERICANO COLPIREBBE ANCHE GLI ALLEATI
Proprio l’Inflation Reducion Act, in barba agli accordi sottoscritti con partner commerciali a Est e a Ovest, dalla Corea del Sud all’Unione europea passando per il Giappone e vigilati dalla Wto (ovvero l’Organizzazione mondiale del commercio) ha già portato negli ultimi anni il Nord America a chiudersi notevolmente e irritualmente.
L’INSOFFERENZA FRANCESE
Gli States hanno iniziato a varare una lunga serie di misure protezionistiche che vanno ben oltre i dazi alle auto cinesi che la Ue potrebbe sdoganare a fine ottobre. E che hanno tra i bersagli anche le imprese europee.
Non a caso tra i 27 Emmanuel Macron è stato colui che, più di tutti, ha insistito per attuare a livello comunitario uno scudo analogo che riguardasse i prodotti in arrivo dagli Usa, senza però ottenere consensi dalle altre cancellerie europee.
COSA INTENDE FARE TRUMP?
Per molti osservatori Trump vuole realmente discriminare i marchi esteri avvantaggiando solo quelli statunitensi. Proprio perché se col suo discorso avesse inteso favorire chi produce negli Usa, indipendentemente dall’origine della Casa automobilistica, il risultato sarebbe predisporre un testo identico per portata all’Ira di Biden.
Anzi, proprio per via di quella norma, Toyota, Volkswagen, Hyundai e Stellantis hanno nell’ultimo periodo intensificato gli investimenti per l’apertura di nuovi hub produttivi in loco. In questo caso, però, se Trump dovesse esser preso alla lettera, tali investimenti verrebbero velocemente vanificati da un inasprimento delle maglie normative.
IL MURO COMMERCIALE COL MESSICO
Inutile dire che parole tanto pesanti, tagliate con l’accetta e facilmente fraintendibili al momento frenino solo gli investimenti in un settore già provato. Nel suo ultimo intervento sull’automotive, Trump è poi tornato sul suo vecchio cavallo di battaglia: il muro – non solo fisico ma anche commerciale – con il Messico per imporre dazi molto pesanti ai marchi che producono al di sotto dei confini meridionali degli Usa.
Motivo per il quale il trumpiano Elonk Musk ha dovuto interrompere lo scouting messicano per la realizzazione di quello che sarebbe dovuto diventare l’hub principale, assieme a quello di Shanghai, di Tesla. Ma anche quest’ultimo darà non pochi grattacapi all’imprenditore, vista la linea intransigente tracciata da The Donald. Forse anche per questo Musk ha deciso di allearsi col candidato repubblicano.
SULL’AUTO E L’HI-TECH CONVERGENZA ROSSO-BLU
Indipendentemente da come finirà, si nota una comunione d’intenti che rende difficilmente distinguibili i democratici dai repubblicani: entrambi gli schieramenti sono consapevoli che l’industria statunitense sta attraversando un periodo molto difficile ed entrambi sono parimenti spaventati dalla baldanza delle Case automobilistiche cinesi. La medesima alleanza si è vista anche sul fronte hi-tech: Trump cinque anni fa bannò Huawei, Biden ha iniziato l’iter contro TikTok.
Sempre Joe Biden ha poi avviato l’iter per escludere dalle strade americane le auto cinesi per non meglio precisati motivi attinenti “la sicurezza nazionale”. Per anni Pechino ha fatto la stessa cosa in Cina impedendo alle Tesla di aggirarsi nei dintorni di zone ritenute cruciali, dato che le vetture dal marchio texano hanno impianti teoricamente in grado di fare spionaggio. Ma gli Usa vorrebbero estendere tale imposizione chiudendo fuori dai 50 Stati tutte le auto dotate di tecnologia cinese per via del timore che possano essere utilizzate per estrarre dati sensibili e compromettere le infrastrutture connesse tramite 5G, Wi-Fi, satelliti e Bluetooth. Insomma, qualunque candidato vincerà gli Usa sembrano voler ballare da soli.
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