“Ora vivo in un luogo in cui posso godere dei diritti umani fondamentali: sono libera di scegliere cosa fare, cosa studiare, come vivere. Ma da un altro lato penso: perché non posso godere di questi diritti a casa mia, nel mio Paese, con la mia famiglia? Perché oggi sono qui in Italia? Perché ho dovuto diventare una rifugiata per avere i miei diritti?”. Mahdia Sharifi, campionessa 20enne di taekwondo, ha lo sguardo triste mentre pronuncia queste parole: lei si è salvata fuggendo, nell’agosto del 2021, ma parte della sua famiglia è rimasta in Afghanistan, ad Herat e in quanto appartenente alla minoranza etnica hazara, è costantemente in pericolo. Le due sorelle non possono più andare a scuola, perché la spietata legge dei taleban proibisce l’istruzione femminile dopo i 12 anni. La struggente testimonianza di Mahdia è una delle numerose contenute nel documentario “Faghan, figlie dell’Afghanistan”, proiettato sabato sera, 9 novembre, al cinema The Space di Roma come evento speciale di MedFilm Festival, la rassegna cinematografica del Mediterraneo creata da Ginella Vocca e giunta quest’anno alla 30esima edizione.
“Faghan” è un progetto appassionato, che ha visto riunire in workshop e sessioni documentaristiche 19 rifugiate afghane sul tema dei diritti negati. Il docufilm, realizzato da Emanuela Zuccalà (fotografia di Simona Ghizzoni) per Nove Caring Humans, mostra alcune scene inedite e particolarmente drammatiche dell’esodo dell’agosto 2021, con migliaia di persone accalcate nei pressi dell’aeroporto sperando di essere ammesse ai voli in partenza per l’Occidente, ma anche immagini un Paese bellissimo, affascinante, con paesaggi incantati dalle montagne ai laghi di Bamiyan. Tutto perduto, per chi ha dovuto fuggire perché aveva collaborato con il governo filooccidentale o con la coalizione internazionale che ha occupato dal 2001 al 2021 il Paese. Le immagini del documentario sono intervallate dalle parole intense di cinque rifugiate di cui si approfondisce la storia: Mahdia Sharifi, Madina Hassani, Krishma Khaliq, Fatima Haidari e Sonia Singh.
“Quando il mio Paese diventerà sicuro per le donne, spero di poter tornare, intanto mi impegno per esserne all’altezza, per orari al meglio al fine di dare il mio contributo all’Afghanistan”, aggiunge Zahra, una delle 19 rifugiate che hanno prestato il loro volto. E Fatima: “Chi è rimasto guarda a noi che viviamo all’estro come germi di speranza. Dobbiamo essere quelle persone di cui le nostre famiglie il nostro Paese hanno bisogno. E l’istruzione per me è lo strumento per riuscirci”.
Fa parte del progetto la mostra “Faghan. Figlie dell’Afghanostan”, realizzata in collaborazione con Zona, in corso di svolgimento fino al 16 novembre alle Officine Fotografiche di Roma, con i ritratti di 19 donne fuggite dal Paese e impegnate a ricostruire una nuova vita in Italia.
Ma vivere da rifugiate non è facile, in un Paese come l’Italia che è stato accogliente ma ancora pone molti ostacoli, primi fra tutti il riconoscimento dei titoli di studio e il ricongiungimento familiare. Ne sa qualcosa Mahdia, che teme per la vita dei suoi familiari ed è tormentata dalla nostalgia e dal desiderio di farli arrivare in Italia. E Sonia Singh, che a Kabul aveva preso la patente grazie a Nove e faceva l’autista dei “taxi rosa”, i Pink Shuttle, e ora vive in Italia arrangiandosi come può: “Ho avuto la forza di reggermi in piedi e sono perfino riuscita a farmi un tatuaggio: questo mi rende felice perché in Afghanistan sarebbe stata considerata una cosa riprovevole. Ma io mi sono concessa il diritto di fare ciò che piace a me, tatuandomi un drago sulla mano”.
Il progetto, finanziato da Action Aid e dalla Fondazione Realizza il cambiamento, nasce da un’idea di Nove caring humans, un ente del testo settore che ormai da oltre un decennio opera nel Paese asiatico e non l’ha mai lasciato nemmeno dopo la presa di potere dei taleban, nell’agosto 2021. Oggi Nove è impegnata in progetti di imprenditoria femminile, negoziando di volta in volta con il governo degli integralisti islamici ogni possibile varco per restituire un po’ di dignità alle donne. “Se è vero che si capisce il valore di qualcosa quando la si è persa, le donne afghane ci sono sembrate le interpreti più adatte ad aprire una narrativa realistica e non retorica su un tema così complesso – ha detto alla presentazione romana del cortometraggio Flavia Mariani di Nove Caring Humans -. Abbiamo scelto di dare voce all’esperienza diretta di chi ha sperimentato la perdita totale di tutti i diritti fondamentali per poter risvegliare la coscienza collettiva, per ricordare quanto abbiamo lottato per arrivare alla stesura della Carta che li raccoglie (la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, ndr) e quanto sia importante custodirli e rimane vigili”.
Per richiedere la proiezione del cortometraggio nelle scuole si può scrivere a education@novecaringhumans.org
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