Se il Mezzogiorno è l’area geografica d’Italia più a rischio usura, i proventi di queste attività illegali vengono sempre più reinvestiti al Nord. Lo denuncia l’Ufficio studi della Cgia di Mestre. Negli ultimi tempi, infatti, le indagini effettuate dalla Direzione Investigativa Antimafia dimostrano come il denaro contante proveniente dalle attività criminali primarie, come l’usura, venga reimpiegato con sempre maggiore frequenza in determinate aree dell’Italia, soprattutto settentrionale (Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, Toscana). L’area più “a rischio” è il Sud, dove si contano quasi 40mila aziende in sofferenza, un terzo del totale. .Sono quasi 118mila le imprese italiane che si trovano a rischio usura, in crescita rispetto all’anno scorso di oltre 2.600 unità, dopo anni in cui erano in calo.
Le vittime di usura sono prevalentemente di artigiani, esercenti, commercianti o piccoli imprenditori “scivolati” nell’area dell’insolvenza e di conseguenza segnalati dagli intermediari finanziari alla Centrale dei Rischi della Banca d’Italia, il che preclude a queste attività di accedere a un nuovo prestito.
A livello provinciale, il numero più elevato di imprese insolventi si concentra nelle grandi aree metropolitane.
Ad eccezione degli anni caratterizzati dalla crisi pandemica, dal 2011 ad oggi i prestiti bancari alle imprese italiane sono crollati. La Cgia continua a chiedere il potenziamento delle risorse a disposizione del “Fondo di prevenzione dell’usura”.
Stefania Losito
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