Quando era aperto, il Cpr di corso Brunelleschi costava oltre 2 milioni e mezzo all’anno: un record nazionale, senza contare le polemiche che ha scatenato. Eppure sta per riaprire. O almeno dovrebbe: in teoria il Centro di permanenza per il rimpatrio dovrebbe tornare in funzione il 1° novembre, venerdì. Ma le procedure per assegnarne la gestione sono ancora aperte e difficilmente la Prefettura riuscirà a rispettare i tempi.
Una gara milionaria
Non parte con i migliori auspici la “seconda vita” della struttura pensata per ospitare gli extracomunitari destinati all’espulsione. Nato con una capienza di 210 posti e sempre più “ristretto” a ogni rivolta, il Cpr poteva ospitare un massimo di 90 persone quando è stato chiuso dopo l’ennesimo incendio, a febbraio 2023. I lavori di ristrutturazione sono partiti esattamente un anno dopo e adesso sono conclusi quelli delle aree Rossa e Blu del Centro, su cui la Prefettura ha deciso di lanciare una procedura di gara per trovare un gestore. Ora sono in palio 70 posti a 64,50 euro al giorno ciascuno, che saliranno a 66,24 dal 1° gennaio e 67,08 dal 1° ottobre 2025 (con l’ultima gara la somma era poco più della metà, 37,97 euro). Alla fine l’importo a gara è di 8.517.432 euro per due anni di contratto rinnovabile per un terzo.
Alla gara hanno partecipato tre imprese: Azzurra ssrl di Cosenza, Ekene onlus cooperativa sociale di Battaglia Terme (Padova) e Cooperativa sociale Sanitalia service di Torino, con la prima escluda già nella prima fase di valutazione, un mese fa. Quindi ora sono rimasti in due a “giocarsi” l’appalto per il discusso Centro. In teoria il contratto di appalto dovrebbe partire il 1° novembre ma ormai sembra difficile che i commissari di gara riescono a concludere le procedure e consegnare in tempo le chiavi al vincitore.
Corteo e polemiche
Intanto gli esponenti del centro sociale Gabrio hanno già annunciato (anche con scritte sui muri) che proprio il 1° novembre scenderanno in piazza per protestare contro la riapertura del Cpr.
Ora il report “Trattenuti – Una radiografia del sistema detentivo per stranieri” di Action Aid e Dipartimento di scienze politiche dell’Università di Bari ha calcolato che la struttura torinese è la più cara che ci sia in Italia. Nel 2023, nonostante la chiusura a febbraio, «è costato oltre 3 milioni e 400mila euro per l’affitto della struttura a Ferrovie dello Stato, le manutenzioni straordinarie e per appianamenti di debiti con l’ente gestore». Inoltre il report stima un costo pro capite al giorno di 37,98 euro, con una spesa di oltre 15 milioni di euro nel periodo 2018-2023. E dei 5 milioni e 600mila euro dell’ultimo biennio, oltre 2 milioni e 300mila sono finiti proprio in manutenzioni.
Afferma Fabrizio Coresi, esperto di migrazione per ActionAid: «Le elevate spese di manutenzione straordinaria registrate sono un chiaro indicatore, assieme alla continua oscillazione dei posti effettivamente disponibili nel centro, dell’invivibilità della struttura, sottoposta a continui danneggiamenti e a sistematiche ristrutturazioni straordinarie, fino alla chiusura nel 2023».
Nell’ultimo periodo il Cpr torinese, complice il Covid, «ha funzionato da propaggine del carcere, dove entravano molti detenuti, con tempi di permanenza medi sui 46 giorni e un 37% di rimpatri». Dieci punti percentuali in meno rispetto alla media nazionale.
E i guai di corso Verona non finiscono mai
I guai dell’Ufficio Immigrazione di corso Verona 4 non finiscono mai. Anzi, non si risolvono mai: l’ultimo intoppo è la totale mancanza di risposte all’indagine di mercato lanciata per trovare un immobile con cui sostituire quello dove, ogni giorno, si formano lunghe file di extracomunitari. Gente che attende fino a due anni per ottenere un permesso di soggiorno e che il più delle volte viene mandata via anche se ha preso un appuntamento. In un edificio che il Ministero ha già dichiarato inagibile. Ma che paradossalmente continua a rimanere aperto per mancanza di alternative, in un corto circuito istituzionale in cui un servizio pubblico viene offerto in un luogo potenzialmente pericoloso.
Eppure il paradosso continua a rimanere, come sottolineato anche in una recente protesta organizzata dai sindacati Cgil, Cisl e Uil in corso Verona. Anche perché le istituzioni provano ormai da un anno a risolvere il problema, senza riuscirci: dal 23 ottobre 2023, infatti, alcuni servizi per gli stranieri non vengono più erogati in corso Verona ma in questura, con accesso da via Tommaso Dorè. Risultato, ora gli immigrati restano in coda sia in un ufficio sia nell’altro, come ci si accorge passandoci davanti in una mattina qualsiasi: colpa anche della scarsità di personale dedicato all’Ufficio Immigrazione (come segnala anche il sindacalista Eugenio Bravo nell’intervista qui sotto).
Almeno in corso Verona ora è stata allestita una sala d’aspetto interno e in via Dorè è “spuntato” un gazebo che protegge gli utenti dalla pioggia e dal sole. Soluzioni tampone in attesa di risolvere definitivamente questi problemi, come annunciato anche dal nuovo questore Paolo Sirna al suo insediamento. L’ultimo tentativo, però, è andato male: la Prefettura aveva lanciato un’indagine di mercato per cercare uno spazio di quasi 2.500 metri quadrati da prendere in affitto e destinare a nuova sede dell’Ufficio Immigrazione. Il bando sottolineava la possibilità di un contratto di 6 anni e pochi parametri da rispettare, oltre alle dimensioni e alla necessità che l’immobile si trovi nel territorio del comune di Torino. Risultato, gara deserta.
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