ROMA Il concordato fiscale potrebbe avere una seconda vita. Non una proroga ma una riapertura dei termini di altri due mesi, fino al 31 dicembre 2024. E’ l’ipotesi su cui sta ragionando il governo per il ‘sequel’ dell’opzione che consente a lavoratori autonomi e partite Iva di congelare tasse e controlli per i prossimi due anni, aderendo al patto con il fisco. Chiusa la prima fase il 31 ottobre, per i contribuenti potrebbe aprirsi una seconda finestra con altre scadenze e nuovi incassi. Sulla prima tranche, calcoli dei commercialisti partono da una stima del 10% di adesioni da parte dei contribuenti potenzialmente coinvolti (la platea degli aventi diritto è di 4,7 milioni). Tra i più ottimisti c’è chi arriva a sfiorare la percentuale del 20%. Al momento non ci sono certezze su numeri e soldi. Per avere i primi dati bisognerà aspettare qualche giorno, fino a un massimo di dieci. Di certo sarà difficile raggiungere l’incasso inizialmente ventilato di 2 miliardi di euro. Intanto anche un concordato bis divide la politica. Per la maggioranza, andrebbe così avanti la campagna ‘Fisco amico’ voluta da Palazzo Chigi per far emergere l’evasione con l’alternativa soft degli adeguamenti spontanei. Contrarissime, invece, le opposizioni. Si passerebbe da “un condonaccio all’italiana” a “una cosa penosa, la resa totale del fisco”, denuncia Antonio Misiani, responsabile economico del Pd. Gli fa eco Mario Turco, senatore del M5s: “E’ un condono preventivo. Aderisce chi ha la certezza di avere redditi maggiori nel prossimo biennio, così da bypassare tasse e controlli. Il risultato è un minor gettito e un probabile danno erariale. Più tranchant Avs: “Il governo si candida al primato dei fallimenti”. Al di là di pro e contro, per ora dal ministero dell’Economia nessun segnale. Un ‘nuovo’ concordato preventivo, subito dopo quello appena scaduto, resta un’ipotesi sul tavolo. Dirimente, però, la differenza tra proroga e riapertura dei termini. Apparentemente solo tecnica. Dietro, invece, c’è la possibilità o meno di disporre, subito, di fondi per la terza manovra del governo Meloni. E con una destinazione prioritaria com’è la promessa riduzione delle aliquote Irpef. Al contrario la proroga, sebbene potenzialmente più generosa di risorse, farebbe slittare il conteggio e soprattutto l’uso di quanto incassato dall’Agenzia delle entrate finora. Nel frattempo, l’opzione ‘concordato bis’ raccoglie il consenso dei commercialisti. “E’ un’opportunità”, sintetizza il Consiglio nazionale dei commercialisti. Per il presidente dell’associazione che rappresenta oltre 120 mila professionisti del settore, Elbano de Nuccio: “Sicuramente rappresenterebbe un’opportunità per chi non ha avuto il tempo materiale per fare le dovute riflessioni”, spiega, e quindi per regolarizzarsi versando la somma concordata. A parte la convenienza dello strumento, e la capacità di fare altri ‘proseliti’ allungando i termini, resta cruciale l’entità dei proventi raccolti fino alla deadline di ieri. Un ‘tesoretto’ che può fare la differenza, vista la ‘promessa’ fatta dal governo ai partiti di maggioranza di usare proprio quei soldi per abbassare le tasse a favore del ceto medio. Un “impegno imprescindibile” per Forza Italia che più di tutti, fra gli alleati di centrodestra, chiede che nella manovra ci sia un taglio dell’Irpef oltre 40 mila euro lordi annui (fino a 50 o 60mila). E su cui si batterà fino in fondo, assicura. Bene quindi un eventuale allungamento dei termini per le partite Iva – è il ragionamento dei forzisti – ma quel che conta è l’incasso pregresso. “I fondi del concordato preventivo devono essere utilizzati per ridurre l’Irpef”, scandisce il vicepremier e leader di FI, Antonio Tajani.
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