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In Valtellina trovato un ecosistema fossile di 280 milioni di anni: la scoperta di una escursionista – #finsubito prestito personale immediato – Richiedi informazioni


Orme di anfibi e rettili, ma anche piante, semi, impronte di pelle e persino gocce di pioggia: è un vero ecosistema fossilizzato su lastre di arenaria a grana finissima quello scoperto nel Parco delle Orobie Valtellinesi in provincia di Sondrio.

21 ottobre 2024. L’imballaggio dei reperti con fogli di materiale spugnoso protettivo. Foto di Elio Della Ferrera, © Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio delle province di Como, Lecco, Monza-Brianza, Pavia, Sondrio e Varese 

Il ritrovamento, che è stato riportato alla luce dallo scioglimento di neve e ghiaccio causato dal cambiamento climatico sulle vette alpine, conserva tracce di vita risalenti a 280 milioni di anni fa: impronte di dita sottilissime, scie di lunghe code flessuose, increspature di onde sulle rive di antichi laghi e addirittura gocce di pioggia cadute sul fango, prima che diventasse pietra. I primi reperti, recuperati pochi giorni fa a 3.000 metri di quota con una spettacolare operazione supportata da un elicottero, sono stati mostrati per la prima volta al Museo di Storia Naturale di Milano.

Foto di Elio Della Ferrera, © Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio delle province di Como, Lecco, Monza-Brianza, Pavia, Sondrio e Varese.

Foto di Elio Della Ferrera, © Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio delle province di Como, Lecco, Monza-Brianza, Pavia, Sondrio e Varese. 

Il sito fossilifero, scoperto per caso dall’escursionista Claudia Steffensen di Lovero (Sondrio) mentre percorre un sentiero della Val d’Ambria a 1.700 metri di quota. Steffensen racconta la sua scoperta all’amico fotografo naturalista Elio Della Ferrera di Chiuro (Sondrio), che scatta alcune foto e le invia al paleontologo Cristiano Dal Sasso del Museo di Storia Naturale di Milano, che contatta due colleghi specialisti con cui avvia il lavoro, il geologo Ausonio Ronchi dell’UniversitĂ  di Pavia e l’icnologo Lorenzo Marchetti del Museo di Storia Naturale di Berlino. Sono loro a informare il Parco delle Orobie Valtellinesi e la Sovrintendenza del ritrovamento. I sopralluoghi partono nell’estate del 2023, i ricercatori fotografano e mappano centinaia di tracce fossili che affiorano a quasi 3mila metri di altezza sulle pareti verticali del Pizzo del Diavolo di Tenda, del Pizzo dell’Omo e del Pizzo Rondenino, ma anche sugli accumuli delle frane sottostanti.

Gli esperti hanno riconosciuto orme di tetrapodi (rettili e anfibi) e invertebrati (insetti, artropodi), spesso ancora allineate a formare ‘piste’, ovvero camminate che avvennero nel Permiano, l’ultimo periodo dell’Era Paleozoica.

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“A quell’epoca i dinosauri non esistevano ancora, ma gli autori delle orme piĂą grandi qui ritrovate dovevano avere dimensioni comunque ragguardevoli: fino a 2-3 metri di lunghezza”, spiega Dal Sasso. Inoltre in questo nuovo sito, su alcune superfici sono fossilizzate orme di almeno cinque diverse specie di animali (trattandosi di tracce e non scheletri, è piĂą corretto parlare di icnospecie), il che permetterĂ  di effettuare accurate ricostruzioni paleoecologiche.

Il gruppo di ricerca, durante la discesa della Val d’Ambria dopo il primissimo sopralluogo sul nuovo sito fossilifero. Da sinistra a destra, in piedi: Ausonio Ronchi, Elio Della Ferrera e Cristiano Dal Sasso; accosciati: Lorenzo Marchetti e Marco Cattaneo. Foto di Elio Della Ferrera

Il gruppo di ricerca, durante la discesa della Val d’Ambria dopo il primissimo sopralluogo sul nuovo sito fossilifero. Da sinistra a destra, in piedi: Ausonio Ronchi, Elio Della Ferrera e Cristiano Dal Sasso; accosciati: Lorenzo Marchetti e Marco Cattaneo. Foto di Elio Della Ferrera 

“Le impronte sono state impresse quando queste arenarie e argilliti erano ancora sabbie e fanghi intrisi di acqua, ai margini di fiumi e laghi che periodicamente, secondo le stagioni, si prosciugavano”, precisa Ronchi. “Il sole estivo, seccando quelle superfici, le indurì al punto tale che il ritorno di nuova acqua non cancellava le orme ma, anzi, le ricopriva di nuova argilla formando uno strato protettivo”.

“La grana finissima dei sedimenti, ora pietrificati, ha permesso la conservazione di dettagli talvolta impressionanti, come le impronte dei polpastrelli e della pelle del ventre di alcuni animali”, aggiunge Marchetti. “Forma e dimensioni delle tracce indicano una qualitĂ  di preservazione e una paleo-biodiversitĂ  notevole, probabilmente anche superiore a quella osservata in altri giacimenti della medesima etĂ  geologica nel settore orobico e bresciano”.

Il salvataggio dei primi fossili in elicottero, avvenuto lo scorso 21 ottobre e grazie alla collaborazione di Edison e Elitellina, è il primo di altre future operazioni.



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