Il settore automotive italiano sta vivendo un momento molto delicato al pari di quello europeo. Vendite in calo, elettrico che fa fatica a decollare e la concorrenza dalla Cina, questi sono solo alcuni dei problemi che l’industria europea deve affrontare oggi. A tutto questo si aggiunge il fatto che Trump ha ventilato l’ipotesi di mettere dazi sulle auto dei marchi europei esportate negli Stati Uniti.
In Italia, intanto, il Governo ha tagliato buona parte del Fondo Automotive chiudendo alla possibilità di avere nuovi incentivi per l’acquisto delle auto il prossimo anno, anche se poi il ministro Urso ha fatto sapere che saranno recuperate un po’ di risorse. Insomma, uno scenario molto complicato.
HDMotori ha voluto quindi approfondire quello che sta succedendo e le prospettive per il futuro e per questo abbiamo fatto due chiacchere con il Direttore Generale di UNRAE, Andrea Cardinali.
TAGLIO AL FONDO AUTOMOTIVE: CHE SUCCEDE?
Il taglio del Fondo Automotive ha suscitato molte perplessità da parte delle associazioni di categoria che hanno subito chiesto un passo indietro al Governo. Una decisione tra l’altro, inattesa visto che il Governo aveva più volte ribadito il piano di voler creare nuovi incentivi per il 2025. Andrea Cardinali definisce questa decisione sconcertante, sorprendente e molto preoccupante.
Per dovere di cronaca, va detto che l’intervista è stata rilasciata prima delle dichiarazioni del Ministro Urso al Tavolo Stellantis del 14/11 (fondi di 1,64 mld per il 2025-26 dedicati all’automotive lato offerta).
L’UNRAE ha fortemente criticato la recentissima decisione di sottrarre ben 4,6 miliardi dal Fondo Automotive, sui 5,8 stanziati nel 2022 dal governo Draghi per gli anni 2025-30. Una decisione sconcertante, perché presa senza alcuna consultazione con gli stakeholder e in assenza di una situazione di bilancio emergenziale. Una decisione sorprendente, del tutto inattesa, perché contraddice clamorosamente le numerose dichiarazioni – rilasciate da vari esponenti del governo fino a pochi giorni prima – di grande attenzione verso un settore considerato strategico per l’economia del Paese, per l’occupazione e per lo stesso erario. Una decisione molto preoccupante, perché azzera di fatto il sostegno alla transizione energetica sia lato domanda che lato offerta, dimostrando un disimpegno di fatto.
Il Direttore Generale di UNRAE aggiunge che l’annuncio della fine degli incentivi è forse la dichiarazione più spiazzante viste le promesse passate. Stop agli incentivi che è stato giustificato con il fatto che questo strumento non avrebbe aiutato la produzione italiana. Ma pensare di raggiungere questo obiettivo in pochi mesi incentivando la domanda era velleitario. Invece, lo stop agli incentivi non farà altro che arrestare il processo di transizione verde su cui l’Italia è già in ritardo.
Le successive dichiarazioni del Ministro Urso, che ha proclamato “la fine dell’era dei bonus”, sono forse ancora più spiazzanti, in quanto lo scorso 7 agosto il Ministro stesso aveva annunciato il successo del Piano incentivi 2024 nel promuovere la decarbonizzazione e lo svecchiamento del parco circolante. Questi erano e restano gli obiettivi dell’Ecobonus, che UNRAE chiede di rifinanziare anche per il triennio 2025-27. Il presunto fallimento di questo strumento consisterebbe nel mancato rilancio della produzione nazionale. Ma pensare di raggiungere questo obiettivo (peraltro in soli cinque mesi) incentivando la domanda, era del tutto velleitario, e l’approccio è risultato inevitabilmente inefficace. Il Made in Italy, con una quota di mercato pari al 12,5%, ha assorbito il 20% dei fondi, e non era realistico puntare a una porzione maggiore. Per sostenere la filiera automotive italiana nella transizione energetica servono misure mirate di tutt’altra natura. Peraltro, non va dimenticato che il 60% della componentistica italiana è destinato all’export. Lo stop agli incentivi non farà che arrestare il processo di transizione verde, già in forte ritardo in Italia rispetto ad altri mercati e ad altri Paesi produttori concorrenti.
ITALIA IN RITARDO SULL’ELETTRICO, POSSIAMO RECUPERARE?
Non è certamente una novità, l’Italia è in forte ritardo sull’elettrico rispetto ad altri grandi Paesi europei. I dati di mercato che proponiamo ogni mese sono molto chiari in tal senso. Quale potrebbe essere la strada per sostenere la transizione in Italia e recuperare il terreno perso? Secondo Cardinali sono 3 leve principali per la transizione dell’automotive e dovrebbero lavorare in sinergia.
Le leve principali per la transizione dell’automotive sono tre, e dovrebbero agire in sinergia: gli incentivi all’acquisto e all’utilizzo, la revisione della fiscalità delle auto aziendali e lo sviluppo accelerato e capillare delle infrastrutture di ricarica. Se il primo strumento verrà a mancare, o anche qualora venisse neutralizzato da una dotazione insufficiente, bisognerà puntare almeno sugli altri due. Per accelerare la diffusione dei veicoli a zero emissioni, la fiscalità delle auto aziendali va rivista modulando detraibilità IVA e deducibilità dei costi in base alle emissioni di CO2, oltre a ridurre il periodo di ammortamento a tre anni. In tal modo le flotte aziendali, grazie al loro ricambio rapido, favorirebbero anche l’offerta di veicoli ecologici usati, rendendoli accessibili alle fasce sociali meno abbienti. Un fattore abilitante fondamentale per la diffusione della mobilità a zero emissioni sono le infrastrutture di ricarica elettrica e di rifornimento a idrogeno. È dunque urgente elaborare una strategia di sviluppo delle infrastrutture pubbliche, con obiettivi puntuali e cogenti, differenziati per area geografica e tipologie stradali. È anche necessario introdurre semplificazioni e correttivi per velocizzare l’erogazione dei contributi destinati all’installazione di infrastrutture di ricarica privata.
LA RIFORMA DEI FRINGE BENEFIT…
Negli ultimi giorni si parla molto della riforma dei fringe benefit che intende introdurre il Governo che, però, ha suscitato molte perplessità da parte delle associazioni di categoria. Il Direttore Generale di UNRAE ci ha spiegato esattamente quello che succederà e che impatto avrà. Inoltre aggiunge come UNRAE abbiamo sollecitato alcuni cambiamenti necessari per andare a risolvere le criticità emerse.
Una parte del provvedimento va nella giusta direzione, ma lo fa in modo concettualmente scorretto. Le aliquote del 10% e 20% in luogo dell’attuale 25% sono proprio quelle proposte da Unrae. Però andrebbero applicate rispettivamente alle auto a zero emissioni e a quelle fino a 60 g/km di CO2, mentre il governo sostituisce il parametro della CO2 con le alimentazioni. Una incomprensibile violazione del principio di neutralità tecnologica, da parte di chi a Bruxelles si batte strenuamente per difenderlo. Per i clienti il problema più serio è invece il quasi raddoppio, dal 30% al 50%, dell’aliquota su tutte le altre alimentazioni, a prescindere dalle emissioni. In teoria il forte gradiente fiscale fra le auto ricaricabili e le altre dovrebbe orientare la domanda verso le prime, ma temiamo che finirà soprattutto per penalizzare chi non ha la possibilità di ricaricare comodamente. D’altronde, lo stesso governo, nella relazione tecnica del disegno di legge, prevede un aumento del gettito fiscale: segno che non si aspetta realmente un effetto “verde” da questa misura. Chi ne ha la possibilità si farà sterilizzare l’impatto in busta paga dall’azienda, gli altri dipendenti saranno danneggiati. E paradossalmente, a parità di aliquota del 50%, potrebbero scegliere vetture meno costose ma più inquinanti. Se poi il fornitore offrisse condizioni vantaggiose, potrebbe convenire – sia al dipendente che all’azienda – prolungare i contratti in essere, rinviando la sostituzione dell’auto: questo danneggerebbe seriamente il mercato, sia del nuovo che dell’usato. Peraltro, la norma non è formalmente retroattiva ma lo è di fatto, perché impatta su tutte le vetture immatricolate e concesse in uso promiscuo dal 1° gennaio 2025, comprese quelle ordinate nelle settimane e nei mesi scorsi in base ai parametri attuali. Un’iniquità che potrebbe generare contenziosi nelle aziende. Come UNRAE, chiediamo di ripristinare la neutralità tecnologica della norma, e di mantenere l’attuale aliquota del 30% per le vetture con emissioni tra 61 e 160 g/Km, almeno per il triennio 2025-27.
TRUMP ELETTO E I DAZI?
Trump, lo sappiamo, è stato riletto e le sue affermazioni in campagna elettorale contro l’industria auto europea hanno suscitato molte preoccupazioni. Ci saranno davvero nuovi dazi? Secondo Cardinali è difficile prevedere le reali mosse di Trump. Dazi in diversi settori tra cui l’automotive sono comunque probabili ma l’impatto dipenderà da diversi fattori.
È difficile prevedere le mosse del neoeletto Presidente americano, mancano ancora due mesi al suo insediamento. L’imposizione di dazi sui prodotti europei in vari settori – dall’automotive al food – sembra piuttosto probabile, soprattutto se Robert Lighthizer, noto “falco” protezionista, sarà confermato come rappresentante per il commercio, ruolo già ricoperto nella precedente amministrazione Trump. L’impatto di eventuali dazi USA sull’industria automobilistica europea sarebbe ovviamente negativo, ma dipenderebbe da vari fattori, tra cui le tempistiche, le modalità e l’entità delle misure, nonché le possibili contromisure UE. Nel frattempo, guardando ai dati, possiamo intuirne la portata. Solo nel 2023, l’UE ha registrato un surplus commerciale con gli USA di circa 32,5 miliardi di euro. I 5 principali mercati dell’auto europea hanno esportato oltre 800.000 vetture, per un valore di oltre 40 miliardi di euro, mentre i primi 5 paesi importatori hanno acquistato auto americane per un valore inferiore agli 8 miliardi. Anche se l’UE dovesse imporre tariffe simmetriche, il danno per l’industria europea sarebbe significativo.
IL 2025 PER IL MERCATO AUTO
Lo scenario è molto complesso e i problemi sono davvero tanti. Quindi a questo punto cosa possiamo aspettarci per il 2025 dal mercato auto? Per Cardinali, le prospettive non sembrano affatto promettenti. Per il mercato italiano, per esempio, ci sarà una sostanziale stagnazione anche nel 2025 e in questo scenario la transizione energetica si presenta come una sfida sempre più ardua.
Stiamo vivendo probabilmente il periodo più critico per l’automotive italiano ed europeo degli ultimi cinquant’anni, e al momento le prospettive non sembrano affatto promettenti. Il contesto attuale, con un clima di grande incertezza e quasi di “ostilità” nei confronti degli operatori automotive, influenza negativamente la fiducia degli acquirenti e l’andamento del mercato. Per il mercato italiano, le previsioni indicano una sostanziale stagnazione anche nel 2025, con circa 1,6 milioni di immatricolazioni, ben lontane dai circa 2 milioni del 2019. In questo scenario, la transizione energetica si presenta come una sfida sempre più ardua, proprio alla vigilia dell’entrata in vigore dei nuovi stringenti obiettivi europei di riduzione delle emissioni di CO2 per auto e veicoli commerciali a partire dal 2025. In particolare, crescono le preoccupazioni circa il rispetto dell’obiettivo europeo di 93,6 g/km per le vetture, e l’Italia, con una media di emissioni pari a 119,4 g/km nei primi 10 mesi del 2024, non contribuirà affatto al suo raggiungimento. A livello europeo si stima che i Costruttori rischino sanzioni per quasi 16 miliardi di euro già a partire dal prossimo anno.
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