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SPY FINANZA/ 2025, il banco di prova per il debito italiano è già pronto #finsubito prestito immediato


Inutile dilungarsi troppo. La manovra economica non è materia che in questo Paese possa essere affrontata con freddezza e pragmatismo. Per chi sta al Governo è sempre e comunque la prima all’insegna della redistribuzione nella storia repubblicana. Per l’opposizione un editto affama-popolo. Quando poi comincia l’assalto alla diligenza delle sedute notturne, la disputa diventa di carattere bellico più che economico. Veri e propri blitz. Con il favore delle tenebre.



In compenso, altrove il quadro generale è tenuto da conto. E con anticipo. Date un’occhiata a questi due grafici di Oxford Economics e Haver Analytics. Conviene metterli da parte. E converrebbe che la classe politica ne prendesse atto. Perché ci offrono uno spoiler di cosa ci attenderà nel 2025 a livello di debito pubblico.



Il primo mostra come tra il luglio 2022 e il settembre scorso l’Italia abbia compiuto un roll-off quasi record del suo debito detenuto in seno alla Bce. Qualcosa pari al 3,5% del Pil. Subito dopo, Germania Portogallo.

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E qui una prima considerazione. Se lo spread è rimasto di fatto immobile, nonostante questo deleverage di Btp dal bilancio della Bce chi ha garantito un ritorno così morbido di quella carta alla negoziazione sul secondario? Chiaramente, le nuove emissioni non contano. Ciò che va in asta non è ciò che viene reinvestito dalla Banca centrale. Semplice: banche e assicurazioni. Il vecchio, caro doom loop. Più importante che mai. Vi chiedevate il perché dell’ennesima farsa sulla tassazione degli istituti di credito, il famoso sacrificio? Perché se i soggetti che vuoi colpire sono gli stessi che operano da prestatore di ultima istanza, qualcosa non funziona. L’arma di ricatto è enorme. E finché non si arriverà a un tetto di detenzioni massimo, resterà così. Non importa il colore del Governo in carica. Nessuno può prescindere dal ruolo del sistema creditizio-assicurativo per mantenere sostenibili le dinamiche dei conti pubblici.



Seconda considerazione: come possono le banche erogare credito e gestire risparmio, se operano al 50% in vece della Bce e al 50% come banche d’investimento che macinano utile con i trading desks? Chiaramente, famiglie e imprese vanno in sofferenza. E appena l’economia mostra segnali di rallentamento, chiaramente la dinamica si acutizza. Preparatevi, quindi. Al netto dei controproducenti tagli dei tassi, nei mesi a venire i cordoni creditizi si stringeranno. E di molto.

La classe dirigente di questo Paese è conscia del fatto che occorrerà, prima o poi, fare pace con questa discrasia e decidere se vogliamo essere la patria delle Pmi e delle loro eccellenze settoriali e di nicchia o un’economia più in stile francese, quindi Stato onnipresente, grande industria che possono finanziarsi per via obbligazionaria (e sono quotate) e banche? Perché è inutile discutere dei fondi del Pnrr, se nemmeno sappiamo cosa vogliamo essere.

Ora guardate il secondo grafico. Mostra le dinamiche di debito lordo su Pil dell’Eurozona di alcuni Paesi membri, fra cui il nostro. Allo stato attuale, la Bce e le sue detenzioni pesano per un 30%. Anche qui, serve chiarezza. Stiamo basando i nostri calcoli di politica economica su uno scenario di normalizzazione che veda sparire quell’emergenziale finanziamento diretto dei deficit oppure stiamo ragionando nella convinzione che la Bce sia obbligata – proprio dagli indebitamenti eccessivi del post-Covid – a tramutarsi in soggetto giocoforza sempre più simile alla Fed statunitense? A occhio e croce, mi pare che la seconda vulgata sia prevalente. E se così fosse, ecco la criticità: la Bundesbank sarà d’accordo, soprattutto alla luce di una recessione economica che rende complesso far digerire ai tedeschi questo indebito utilizzo della Banca centrale, al di fuori di un contesto di crisi conclamata.

L’alternativa? C’è. Chiaramente è quella di farsi dettare l’agenda di riforme da Bruxelles, privatizzazioni in testa. E potrebbe trattarsi del compromesso cui Giorgia Meloni punterebbe, evitando eccessive e troppo mediatiche rese all’Unione, ma, nel contempo, garantendo un flusso costante di do ut des che tenga a bada i falchi. Perché per quanto finora il roll-off sia stato indolore, il grosso del lavoro è alle porte. Il 2025 sarà il banco di prova per il nostro debito. Togliamo le rotelle alla bicicletta del Tesoro. Leviamo i braccioli degli acquisti oltre quota di capital key da parte di Bankitalia su mandato Bce. I titoli che torneranno sul mercato sono quelli del Pepp, il programma pandemico. Occorrerebbe un’altra emergenza, in subordine. Ma alle viste c’è soltanto un vento di recessione che spira dalla Germania. Nulla che giustifichi acquisti di debito e aste di rifinanziamento. A meno che la russofobia sempre più imperante non abbia un sottostante più economico che politico. A quel punto forse sarebbe paradossalmente anche accettabile. Ma costi accessori e rischi di fuoco amico appaiono, fin da ora e a bocce ferme, enormi.

La politica italiana che si appresta a scannarsi in Aula sulla sugar tax o la diminuzione del canone Rai è almeno conscia di cosa ci aspetti a livello di conti pubblici e sostenibilità del debito fra pochi mesi? Temo di no. Certi argomenti vengono accolti o da sbadigli o da accuse di disfattismo. Salvo trovarsi a fare i conti con un’economia e una società impoverite a livelli da Grande Crisi Finanziaria da un meccanismo di trasmissione del credito totalmente congelato, da dinamiche salariali bloccate e da un’inflazione obbligatoriamente mantenuta oltre il 2% proprio per sgravare un po’ gli oneri di finanziamento di stock sempre più alti. Perché le banche comprano Btp. Non offrono prestiti, fidi o mutui. E lo Stato le ringrazia, seppur a porte chiuse.

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