I conflitti tra studenti dei licei napoletani Mercalli e Umberto hanno preso una piega preoccupante, culminando in episodi di violenza gratuita. Quanto accaduto l’altra sera a Chiaia ha riacceso il dibattito sulla rivalità tra i due istituti e su come canalizzare l’energia giovanile verso forme più costruttive. Ne parliamo con Lucia Fortini, assessore all’Istruzione della Regione Campania che propone un cambiamento culturale che coinvolga non solo le scuole, ma la società nel suo insieme.
Assessore Fortini, secondo lei cosa c’è dietro gli episodi violenti che vedono protagonisti i due licei di Chiaia?
«Purtroppo, sono situazioni che non sorprendono più. È evidente che dietro questi scontri non c’è una vera rivalità scolastica, quanto piuttosto un desiderio di sfogare una violenza interiore. Tra Mercalli e Umberto, per esempio, si è sempre avvertita una sorta di competizione. Tuttavia, stiamo vedendo qualcosa di diverso: un pretesto per esprimere una violenza fine a se stessa».
Non crede siano dovuti alla rivalità tra le scuole?
«No, lo escludo. Le famiglie, per lo più, appartengono allo stesso contesto socio-culturale e spesso mandano un figlio al Mercalli e un altro all’Umberto. Ciò che emerge, invece, è un’esplosione di violenza gratuita, senza un vero motivo. Sembra che cerchino un pretesto per sfogare una rabbia accumulata, una frustrazione che va oltre la scuola stessa».
Non trova preoccupante il fatto che gli studenti pare abbiano pianificato l’appuntamento per scontrarsi?
«È preoccupante certo, ma non è un caso isolato, accade in tutta Italia. Non possiamo ignorare il fatto che la violenza sia diventata una sorta di linguaggio comune tra i ragazzi, un modo per affermarsi o semplicemente sfogarsi: violenza per la violenza».
Come può intervenire la scuola?
«La scuola fa già moltissimo, organizzando tante attività ma da sola non può risolvere il problema. La famiglia è l’inizio di tutto, e la società che li circonda. I ragazzi assorbono tutto ciò che vedono attorno a loro, dagli adulti. Avvengono risse persino alle partitelle di calcio giovanile con protagonisti i genitori: se assistono a tali comportamenti, è probabile che li riproducano. Serve l’esempio, prima di tutto».
Cosa fare allora?
«Non serve solo reprimere o punire, bisogna offrire alternative. Lo sport può sicuramente aiutare. Non è un caso che in alcuni contesti il rugby o altri sport di squadra riescano a trasformare quell’energia negativa in qualcosa di positivo. Quando si fa sport, i ragazzi hanno un’occasione per sfogarsi e competere in modo sano. Purtroppo, non sempre le scuole hanno le strutture adeguate per promuovere queste attività. In molte scuole al Sud mancano palestre o risorse per organizzare attività sportive regolari, e questo è un problema che richiede investimenti strutturali a lungo termine da parte del governo. Oltre lo sport, è fondamentale la partecipazione attiva alla vita sociale».
Tipo?
«Recentemente abbiamo portato 150 ragazzi a Sorrento per il progetto regionale “Campania Civica”, e sono stati semplicemente straordinari. Hanno lavorato con sindaci e assessori, proposto idee innovative per migliorare la loro comunità, come il turismo diffuso o l’eliminazione delle bottiglie di plastica dalle scuole. Questo mi ha confermato che la maggior parte dei nostri ragazzi ha tanto da offrire, ma spesso non ha l’opportunità di essere ascoltata. Quando noi adulti ci prendiamo il tempo di ascoltarli, di coinvolgerli seriamente, loro rispondono con entusiasmo e maturità, mostrano il loro lato migliore».
Quindi la soluzione sta nel coinvolgimento e nell’ascolto?
«Esatto. La maggior parte dei giovani non è violenta o ribelle per natura. È vero che c’è una minoranza che può cadere in comportamenti aggressivi, ma non possiamo limitarci a puntare il dito contro di loro. Dobbiamo chiederci cosa possiamo fare come società per educarli e dare loro un senso di appartenenza. Se ci limitiamo a criticare senza proporre soluzioni, non risolveremo mai il problema: aprire le scuole al pomeriggio, offrire spazi di dialogo e attività, creare ambienti dove possano esprimersi in modo positivo. Con Scuola Viva lo stiamo facendo da 10 anni, così come con i bonus Sport regionali: solo quest’anno ne abbiamo distribuiti 90mila. Ma va fatto ancora e sempre di più. La violenza giovanile non si risolve con misure repressive, occorre puntare sull’educazione e sul coinvolgimento. Solo così potremo farli sentire protagonisti del proprio futuro, anziché lasciarli cercare pretesti per sfogare la loro frustrazione in modo distruttivo».
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