RIETI – L’Inps che reclama soldi per un’attività ormai chiusa e dopo che hai smesso di lavorare. La vittima di un sistema, a volte incomprensibile nelle regole, è un commerciante che oggi ha 75 anni ed è in pensione da tempo, ma che all’inizio del contenzioso ne aveva dieci di meno, e ha dovuto attendere tutto questo tempo per far prevalere le proprie ragioni su quelle dell’istituto che, nonostante avesse ricevuto la comunicazione di cessazione dell’attività dall’imprenditore, presentata anche al Comune di Magliano Sabina, lo aveva iscritto ugualmente d’ufficio nella gestione esercenti attività commerciali, imponendogli, nel 2019, di versare 40mila euro di contributi previdenziali.
I passaggi. Ma quella somma non era dovuta, ha sentenziato il giudice del lavoro Alessio Marinelli, perché le ragioni esposte dall’istituto non hanno trovato adeguato riscontro nel corso della causa. L’iscrizione d’ufficio del commerciante è stata perciò ritenuta illegittima e il relativo obbligo contributivo reclamato «insussistente». Sentenza che ha comportato la condanna dell’ente a pagare le spese processuali. Hanno prevalso in tribunale le ragioni della difesa dell’imprenditore, sostenuta dall’avvocato Marco Bonamici, che aveva presentato ricorso contro l’ingiunzione con cui l’Inps reclamava i contributi arretrati.
Le tesi. Inutili le prove prodotte nel contenzioso che ha preceduto l’inizio vero e proprio della causa, per dimostrare che la società del suo cliente non era più attiva e che sei fatture, risalenti ai due anni (2013 e 2014) presi in esame dall’Inps, erano relative alla cessione della merce di magazzino operata dall’imprenditore in favore di una ditta individuale intestata a sua figlia che, attraverso un contratto di comodato d’uso cinquantennale, aveva ottenuto di poter occupare i locali precedentemente utilizzati dal padre. Di tutto questo, il commerciante aveva inviato una comunicazione anche a Inail e Agenzia delle entrate. Ma l’Inps aveva insistito: i 40mila euro li aveva reclamati in nome di una regolarizzazione fiscale relativa alla precedente vendita di calzature e articoli di pelletteria di proprietà della società venditrice che aveva cessato di operare, e anche perché il commerciante aveva svolto la funzione di liquidatore della propria ditta, anche quando era intervenuta la chiusura, dando prova di un’attività, ad avviso dell’istituto, proseguita nei due anni oggetto del contestato accertamento. Il giudice Marinelli ha però sancito l’infondatezza della tesi dell’Inps, a cui spettava l’onere di dimostrare il carattere di persistente svolgimento dell’attività imprenditoriale artigianale del ricorrente. Prova che non è emersa nei documenti depositati dall’ente previdenziale, ritenuti insufficienti poiché, in definitiva, contenevano solo indizi risultati privi di gravità, precisione e concordanza, per avere ragione.
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