Le ipotesi sul futuro del centro commerciale del centro commerciale dopo la chiusura: di sicuro non potrà diventare un hotel
E adesso cosa ne sarà del Fontego dei Tedeschi, visto che il grande magazzino chiude e i 226 dipendenti diretti, 500 con l’indotto, perderanno il lavoro? È la domanda che rimbalza da ieri, 15 novrembre, in città e intorno alla quale si avvitano le ipotesi. Non potrà diventare un hotel la fenomenale struttura restaurata dall’archistar Rem Koolhas: non è previsto nelle sue destinazioni d’uso e a Venezia vige la norma blocca-alberghi che dal 2018 vieta i cambi d’uso, a meno che non ci sia il via libera di giunta e consiglio comunale. «Siamo arrabbiati per la mancanza di comunicazione e per la gestione della cosa», avverte l’assessore allo Sviluppo economico Simone Venturini. Dfs Italia con sede ad Hong Kong ha deciso che la struttura non rende abbastanza visto che negli ultimi cinque anni gli introiti sono calati del 40 per cento con un buco di 100 milioni. Un modello di business che mette al centro i marchi del lusso, non la città. Li si potrebbe acquistare ovunque, a Los Angeles, Parigi, Sydney. Perché prendersi la briga di venire a Venezia dove tra l’altro gli stessi brand hanno flagship store e c’è McArthurGlen a Noventa con prezzi da outlet?
Polo dell’artigianato
«La domanda che ci poniamo tutti è: come mai una città che ha 33-35 milioni di presenze turistiche l’anno, non garantisce abbastanza compratori per tenere il piedi il business plan del Fontego — ragiona Marco Vidal, imprenditore del settore profumi e prodotti benessere per il corpo con marchi che parlano veneziano a qualsiasi compratore del globo —. La città ha la sua anima nei prodotti del territorio. Esempi? Le scarpe di René Caovilla, i vetri e l’oggettistica di Barovier e Toso o Venini. Se l’offerta è su marchi planetari senza alcun rapporto con la città, che senso ha venire a Venezia per comprarli? Manca l’acquisto di qualcosa che abbia l’anima nel territorio». Da veneziano e imprenditore locale, Vidal crea profumi ed essenze per tutto il mondo. Ma geolocalizzate, per così dire. Così il marchio Vidal che si compra da Harrods a Londra è unico, diverso da quello che si acquista a Venezia. La sua idea per il palazzo che fu delle Poste: «Un polo dell’alto artigianato italiano. Che piaccia ai 35 milioni di visitatori che già arrivano in città, senza farne arrivare altri. La gente vuole un prodotto che ha un’anima. E Venezia ha artigiani e prodotti per conquistare gli acquirenti. Noi avevamo un corner profumeria al Fontego. Al quarto piano».
Ezio Micelli, professore Iuav di Estimo e assessore all’Urbanistica negli anni (turbolenti) di trattativa sul restyling del Fontego ricorda: «L’attuale gestore non era l’unico operatore in gara, altre società di retail sono state scartate — dice —. Altre formule commerciali meno di lusso e più sensibili alla classe media potrebbero farsi avanti, magari anche con formule più centrate sul food e non solo retail». E riflette: «La combinazione lusso e offerta alla clientela asiatica oggi è fuori tempo». Giorgio Orsoni, sindaco che chiuse l’intesa sulla trasformazione del palazzo (il Comune ottenne 6 milioni di beneficio pubblico) non vede molte alternative per il Fontego. «Non può che avere una destinazione di quel tipo, magari si potrebbe ripensare l’organizzazione riducendo il commerciale e destinando i piani superiori a direzionale con degli uffici», osserva.
L’ipotesi museo
Visto che i visitatori affollano il Fontego per fare foto al palazzo, diventato uno di quei posti da vedere insieme a Rialto e San Marco, l’idea viene spontanea: e farne un museo? «Più che un museo, potrebbe diventare un’area dove svolgere attività culturali», ragiona Maria Cristina Gribaudi, presidente della Fondazione Musei civici che sta volgendo al meglio le aree dimenticate di Mestre (ex emeroteca e Palaplip) e che fa del centro Candiani un satellite delle collezioni museali. «Abbiamo creato attività che hanno attratto tremila persone. Siamo pronti con la nostra esperienza a sederci al tavolo per una riflessione sulla cura di Venezia. E dico cura citando Franco Battiato — sorride —. Come Fondazione potremmo lavorare per rigenerare lo spazio». Che è privato: già Edizione Property di casa Benetton, il patrimonio è passato alla gestione dell’ex manager Mauro Montagner col fondo Dekus e la proprietà è di Sabrina Benetton. «Farne un museo? È una proprietà privata con business ad altissimo livello — ragiona il rettore Iuav Benno Albrecht —. I musei funzionano in un contesto generale perché sono sempre in perdita. Il bilancio avrebbe cifre iperboliche rispetto all’investimento».
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